L’unico che mette tutti d’accordo è Sergio Mattarella. Per il resto è stato uno dei 25 aprile più divisivi che si ricordano, dove le distanze tra una parte e l’altra, tra i custodi dell’antifascismo militante e chi considera il fascismo una “stagione morta e sepolta” che ha anche “un po’ stufato” della nostra democrazia, si sono acuite ed esagerate. Con buona pace di quella pacificazione mai veramente coltivata.
Il Capo dello Stato ha scelto di andare a Civitella Val di Chiana, paesino della provincia di Arezzo dove la mattina del 29 luglio 1944 i soldati della divisione Goering entrarono nella chiesa dove il parroco aveva riunito 244 persone, non solo fedeli, e le sterminarono una dopo l’altra.

Un’esecuzione di massa, “terribile”, “disumana”, “pianificata a freddo e portata a termine tramite delazioni”. Dolore e perdite che non hanno mai trovato conforto neppure nella parola definitiva di un processo a colpevoli e complici. “Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare” ha detto il Capo dello Stato usando le parole di Aldo Moro per spiegare come “l’antifascismo sia un dovere” e il 25 aprile una “ricorrenza fondante”, la festa della pace, della libertà ritrovata e del “ritorno nel novero delle nazioni democratiche”. Quella pace e quella libertà che “trovando radici nella resistenza di un popolo contro la barbarie nazifascista, hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia, di saldo diniego di ogni forma o principio di autoritarismo o totalitarismo”.

I crimini di guerra 

E ai tentativi di revisionismo – tutti – e di riscrittura o di banalizzazione di quegli anni e del loro significato, il Capo dello Stato ha voluto offrire la prova dei fatti, dati storici inoppugnabili come i circa cinquemila “crudeli e infami” episodi di rappresaglie ed esecuzioni sommarie che la magistratura militare ha potuto documentare. Una vera e propria strategia, ha ribadito Mattarella, per “fare terra bruciata attorno ai partigiani”, gravissimi “crimini di guerra, contrari a qualunque regola internazionale e all’onore militare e, ancor di più, ai principi di umanità”.

Ecco, in un paese normale il 25 aprile dovrebbe essere questo, la memoria condivisa ad ogni età e stagione della vita di ciò che è stato e che divide in due la storia: i nazifascisti che erano la parte sbagliata; tutti gli altri, a cominciare dai partigiani di ogni colore e fede politica che si armarono e andarono in clandestinità per liberare l’Italia E che erano la parte giusta.
Ma non siamo ancora un paese normale e la pacificazione, e la sterilizzazione di quella stagione, potrà esserci solo quando tutti si riconosceranno nelle parole del Capo dello Stato.

Meloni, il ventennio e “viva la Libertà”

Ci ha riprovato, una volta di più va detto, Giorgia Meloni, la premier che le opposizioni, ma non solo, accusano di non essere riuscita a dichiararsi “antifascista”.
Un interessante sondaggio di Repubblica ieri ci informava che il 72 per cento degli italiani, anche ventenni, si dichiara antifascista perché “così si difende la democrazia”. Un dato importante, anche perché il 62 per cento degli elettori di Fratelli d’Italia si definisce antifascista.
Appena conclusa la cerimonia all’Altare della Patria con Mattarella e i presidenti di Camera e Senato ha postato poche righe su Instagram. Le prime righe sono incoraggianti: “Nel giorno in cui l’Italia celebra la Liberazione, che con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia, ribadiamo la nostra avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari”.

La frase principale non prende ancora atto della specificità italiana: ovvero il ventennio della dittatura fascista. La seconda parte del post attacca, giustamente, tutti i regimi “di ieri e di oggi che siamo determinati a contrastare con impegno e coraggio. Continueremo a lavorare – è la conclusione – per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà”. L’esclamazione finale celebra il 25 aprile ma solo a metà. “Viva la libertà” dice la premier. Che non riesce però ancora a dire: “Viva la liberazione”.
Lotta a tutti i regimi, dunque. Poi però bisogna anche avere gli occhi per capire i sintomi di un eventuale regime in arrivo che, subdolo com’è, non si annuncia ma s’infiltra piano piano. Occorre non essere indifferenti ai tentativi di mettere le mani sull’informazione, alle tante piccole e grandi libertà che si cerca di limitare, dall’aborto ad un monologo critico e severo in tv.

Meloni, Sunak e il Ruanda

Meloni non ha preso parte ad alcune manifestazione, ha snobbato piazze e palchi organizzati in tutta Italia da nord a sud. Ha però parlato a lungo con il premier inglese Rishi Sunak.
Tra i temi l’immigrazione. Non sfugge che il governo Meloni nell’estate scorsa ha firmato un memorandum d’intesa con Sunak sull’immigrazione.
E non sfugge neppure che ieri ha lasciato la Gran Bretagna il primo volo carico di stranieri clandestini che saranno portati in Ruanda, lo stato africano che dietro lauto pagamento, sbrigherà in house le pratiche per capire chi ha o meno diritto all’asilo in Inghilterra.

La doppia provocazione di Salvini

In linea con le parole di Mattarella è stato certamente Antonio Tajani che ha celebrato il 25 aprile alle Fosse Ardeatine. E il ministro Sangiuliano che ha detto “l’antifascismo è un valore e la Resistenza è un momento importante e significativo”.
Salvini ha invece celebrato il suo 25 aprile con una doppia provocazione: presentando il suo libro “Controvento” a Milano nei locali di una Fondazione a pochi metri da dove si mettevano in marcia i centomila del corteo dell’Anpi; e ufficializzando la candidatura nelle liste della Lega del generale Vannacci che giusto ieri ha ripetuto: “Non capisco perché devo dichiararmi antifascista visto che il fascismo è morto quasi ottanta anni fa”.
Il Pd, tutto il centrosinistra, + Europa, Azione, Italia viva hanno sfilato al corteo dell’Anpi.
E a proposito delle tante forme di fascismo, Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia viva, ha ricordato come “fascista sia oggi chi grida assassini alla Brigata Ebraica” ancora una volta, quest’anno più degli altri, contestata e fischiata dagli autonomi, centri sociali e studenti, tutta roba che si posiziona a sinistra.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.