Caro direttore,
con l’articolo del 26 aprile su il Riformista, Luigi Caramiello ha il merito di porre al centro dell’attenzione la questione di quale sia il filo che lega l’attuale internazionale dell’autoritarismo globale (Putin, Hamas, regime teocratico iraniano, Cina di Xi Jinping ecc): lo fa ricorrendo alla sincera propria esperienza giovanile di militante comunista, nella cui descrizione si possono riconoscere tante e tanti italiani d’antan e anche un po’ (anche se non tutti) degli effervescenti giovani del nostro presente.

Il suo ragionamento verte su due semplici presupposti. Il primo è il disconoscimento delle grandi conquiste della “democrazia liberale”; il secondo, connesso al primo, è il mancato riconoscimento del fallimento del comunismo come risoluzione di tutti i mali dell’Occidente. Un ragionamento sicuramente stimolante da cui partire per capire il complesso tempo storico che stiamo attraversando.

Intanto metterei in evidenza che, almeno sul piano ideologico e culturale, in questa fase appare unificante, sul piano mondiale, una remota religione della catastrofe, ovvero del tramonto dell’Occidente: le conquiste storiche dell’umanità, come la scienza, la tecnica, lo sviluppo di più complesse ed articolate istituzioni per la convivenza civile (Stati, nazioni, costituzioni, parlamenti, partiti, sindacati ecc.) sono conquiste solo apparenti che non cambiano la vera condizione umana e il suo correre inconsapevolmente verso la catastrofe.

“Figure d’Apocalisse” si intitola non a caso un recente saggio di Biagio De Giovanni. La religione della catastrofe si nutre e si è sempre nutrita di apporti e declinazioni molteplici, e si è costituita come una vera e propria atemporale forma mentis.

È in essa che affondano le radici rosso brune che fanno arrabbiare tanti della generazione di Caramiello. Una generazione che, seppure con deficitarie approssimazioni storiche e geopolitiche, negli anni Settanta marciava a sostegno del nobile principio dell’autodeterminazione dei popoli, di cui doveva godere anche il Vietnam.

Mentre gli Stati Uniti d’America dovevano ritirarsi da quella guerra che veniva interpretata come mero neocolonialismo senza tener conto della enorme difficoltà di una sistemazione equilibrata e pacifica dell’intera area indocinese all’indomani della fine del colonialismo francese. Equilibrio che le stesse potenze mondiali riunitesi nella conferenza di Ginevra del 1954 non erano riuscite a partorire.

Ma non è solo la matrice comunista che alimenta oggi la religione della catastrofe. Anzi, per la verità, quella matrice ideologica ha responsabilità solo in parte, perché anch’essa ha visto declinazioni più ricche ed articolate. Senza ignorare i suoi indubbi e gravi errori di analisi, ad esempio, non si può con troppa faciloneria iscrivere Karl Marx nel novero degli antiscientisti antimodernisti.

E, in ogni caso, oggi la componente culturale antioccidentalista mobilita, oltre a neo camice nere, brune, rosse, anche islamisti sunniti, islamisti sciiti, ambientalisti integralisti ecc. Un variegato mondo che trova tra i suoi collanti l’antisemitismo perché Israele costituisce nel loro immaginario, e anche nei fatti, una casamatta imprescindibile a difesa dell’Occidente e delle sue ragioni.

Ma perché questo variegato mondo si coagula e fa sentire così forte la sua voce, tanto da sembrare a volte, per lo spazio che conquista sui media, vincente? A questo punto la questione diventa molto più problematica, richiede di ampliare ancora lo sguardo, ad esempio, alla mancanza di una proposta di governance, da parte delle maggiori potenze occidentali, della globalizzazione economica e delle relazioni tra i circa 200 Stati nazionali esistenti sul pianeta. Problema connesso è quello dello sfasamento temporale, della mancanza di sincronia, nello sviluppo delle diverse aree geografiche del mondo.

Due fattori su cui la discussione pubblica mondiale dovrebbe impegnarsi un po’ di più. La discussione pubblica italiana, inoltre, dovrebbe cercare di non limitarsi al solo ricordo dell’8 settembre 1943, perché come evidenzia la nostra esperienza storica, la data di svolta radicale fu quella del 2 giugno 1946, quando il paese, dopo la liberazione, scelse la sua forma di Stato e di Governo e intraprese la strada per dotarsi di una Costituzione democratica. Una esperienza che urla alle nostre coscienze che senza il dare forma alla convivenza umana gli appelli alla pace sono del tutto inutili.

Ernesto Mostardi

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