Ora che sembrano passate le settimane “di fuoco”, trascorse fra notizie di inchieste giudiziarie, arresti più o meno eccellenti e conflitti politici, a Bari si fanno i conti e si cerca l’unica risposta alla domanda delle domande: il centrosinistra è al capolinea dopo venti anni di amministrazione incontrastata e tutto sommato buona? Se oggi molti pensano (o temono) che sia possibile, è altrettanto vero che fino a tre mesi fa una domanda del genere non sarebbe venuta in mente a nessuno, nemmeno agli avversari di centrodestra, tanto convinti di perdere le elezioni di giugno che non si affannavano a cercare un candidato.
In questi giorni invece la squadra della premier è stata talmente rinvigorita dagli avvenimenti che si sono succeduti, che Fabio Romito, il candidato espresso dalla Lega, non esita a svelare l’ambizione di fare cappotto al primo turno. Forse esagera, ma non tanto, vista la situazione del tutto capovolta in suo favore.
Tre sono i vantaggi per il centrodestra: per prima cosa, la più ovvia, il centrosinistra andando diviso allo scontro, presentando due candidati, è già debole; in secondo luogo, da nessuna parte come in Puglia il rapporto fra il Pd e il M5S, è così ai minimi termini, con Conte talmente aggressivo da permettersi di cancellare le previste primarie senza nemmeno una telefonata agli alleati; e, ultimo vantaggio, ma il più significativo, il sistema politico fondato venti anni fa, dopo le due “primavere”, prima quella di Emiliano a Bari e poi quella di Vendola in Regione, oggi sembra sgretolarsi sotto i colpi delle varie inchieste, ma più per i danni all’immagine dei vari protagonisti che per sentenze che non ci sono né possono esserci ancora.

Come si è arrivati a tutto ciò?
Tutto è cambiato a partire da marzo, quando il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi decide di inviare al municipio una commissione di inchiesta per verificare se ci siano gli estremi per sciogliere il Comune per infiltrazioni mafiose. Un mese prima c’erano stati 130 arresti (quasi tutti affiliati a clan cittadini già in prigione per la maggior parte) ed erano finiti in carcere anche due politici, un ex assessore regionale e sua moglie, consigliera comunale, Giacomo Olivieri e Maria Carmen Lorusso, entrambi eletti con il centrodestra e poi passati con il centrosinistra. Da quel momento in poi è stata una specie di slavina che mentre scombinava le certezze del centrosinistra, accendeva le speranze del centrodestra.
Così accade che la magistratura continui ad assestare colpi alla credibilità dei governanti rivelando altre inchieste, quasi tutte per corruzione elettorale: vengono arrestati prima il sindaco di Triggiano, un comune appena fuori Bari, Antonio Donatelli, leader di varie liste civiche, insieme con un’altra coppia di politici, lei assessora regionale, Anita Maurodinoia, del Pd, lui, Sandro Cataldo, referente del movimento Sud al centro; più tardi finiscono agli arresti un altro ex assessore regionale, Alfonsino Pisicchio e suo fratello Enzo, famiglia di incubatori di numerose liste civiche, tutte centriste.
Questo il contesto giudiziario che ovviamente seguirà tempi e modi propri.

Vale la pena di soffermarsi ora su quello politico che in verità appariva grigio e nuvoloso ben prima delle inchieste giudiziarie.
Prima precisazione: il centrosinistra che si sta sgretolando in queste settimane è soprattutto quello che ha avuto al centro dell’iniziativa politica la Regione più che il Comune, il governatore Emiliano più che il sindaco Decaro. Nel senso che i cambi di casacca, l’imbarcare chiunque potesse servire per resistere al tempo destinato a ogni amministrazione, atteggiamento politico normalmente definito “trasformismo”, sono stati la regola dalle parti della giunta regionale e l’eccezione al Comune.
Seconda chiarificazione: lo scontro intestino fra le due anime, Pd e M5S, a Bari ha poco o niente a che fare con il cambio della guardia nel municipio, molto invece con quello degli equilibri nel prossimo Parlamento europeo dove Conte intende sparigliare visto che al momento egli esprime 3 deputati contro i 15 del Pd.
Terza puntualizzazione: a Bari la presa d’atto dell’incomunicabilità fra le varie anime del centrosinistra, tanto da andare separati alle elezioni non nasce con le inchieste della magistratura, basta seguirne la cronaca.

Si comincia in ottobre inoltrato quando sulla scena del centrosinistra compaiono i primi protagonisti della futura rappresentazione, 3 per il Pd, poi scomparsi dall’orizzonte, e 1 proposto dall’associazione culturale della sinistra alternativa, La Giusta Causa, l’avvocato Michele Laforgia, ancora oggi in campo. L’avvocato potrebbe essere l’unico candidato per molti opinionisti, ma si sottovaluta l’antipatia nota e reciproca fra i Dem e la Giusta Causa: all’avvocato viene rimproverato da chi milita nel Pd, un eccessivo carisma che lo porta a essere “divisivo”; i Dem, invece, sono visti dai seguaci di Laforgia semplicemente come politicanti senza valori.
Comunque sia le cose si mettono male fin da subito. Se il Pd non intende convergere sull’avvocato, nemmeno sa scegliere fra i tre. In realtà l’indecisione del Pd è dovuta al fatto che nessuno dei tre candidati Pd piace al sindaco uscente. Decaro ne ha in mente un altro, ma deve convincerlo a partecipare alla sfida: è il suo capo di gabinetto, Vito Leccese, ambientalista della prima ora, ex deputato Verde, che conosce ogni bullone della macchina comunale essendo stato assessore prima dell’indimenticabile sindaco Enrico Delfino (colui che accolse gli albanesi della Vlora, nel 1991), e poi uomo-macchina con Michele Emiliano e poi con lo stesso Decaro. Insomma, Leccese è la continuità dell’amministrazione di centrosinistra con una pennellata di verde.

Dopo che i tre Dem (in novembre) fanno un passo indietro, finalmente, il 9 febbraio, il Pd annuncia di aver scelto il proprio campione: è proprio Vito Leccese che alla fine ha ceduto alle pressioni. A questo punto si tratta di trovare un accordo anche con il resto degli alleati. Facile a dirsi, ma non a farsi perché inizia un altro periodo tormentato in cui nessuno vuole cedere a nessuno: né il Pd su Leccese, né la Convenzione (che raccoglie i supporter dell’avvocato) su Laforgia. Finché – miracolo – si decide che saranno le primarie a scegliere il campione.
Siamo al 9 marzo, è passato un altro mese, e la data scelta è quella del 7 aprile. Tutto sembra rientrato nella normalità, si è tornati sulla via maestra: Leccese e Laforgia infine si sfideranno nelle urne per scegliere il migliore. Ma – ahimé – siamo solo a metà del dramma perché, come abbiamo detto, su tutto ciò piomba la notizia dell’invio a Bari della commissione ministeriale per verificare l’eventualità dello scioglimento per mafia del Comune. E poi arrivano le altre inchieste. Niente di meglio per un giustizialista come Conte che il 4 aprile dichiara che non ci sono più le condizioni e che il “suo” candidato, cioè Laforgia, il 7 non parteciperà alle primarie. A tutti ormai è chiaro che non ci sarà nessuna riconciliazione, che si andrà al voto spaccati. Gli ultimi giorni rischiano di passare per quelli della farsa dopo la tragedia. Vendola, che ufficialmente sostiene Laforgia, propone a entrambi i candidati di fare un passo indietro per ripararsi sotto l’ombrello di una persona integerrima come il magistrato Nicola Colaianni, ex deputato del tempo del Pds, poi vicino all’ex governatore. Ma nessuno lo segue.

Come andrà a finire? La politica, si sa, non è scienza esatta.
Lo scenario più probabile è che il candidato del centrodestra passi al ballottaggio così come uno dei due del centrosinistra, nel secondo turno si vedrà.
Nel centrodestra però sono fiduciosi: questo è il quadro migliore per vincere al primo turno. Mentre nel centrosinistra c’è anche chi ritiene che al centrodestra non sarà sufficiente il pandemonio provocato dalla magistratura e mal gestito dal centrosinistra e che il suo candidato non passerà al secondo turno, lasciando alla due sinistre l’incombenza di battersi in una guerra civile che allungherà le sue ombre sulla futura amministrazione.
Nell’attesa su Bari è caduta una coltre di avvilimento che nemmeno nei primi giorni del nostro arrivo in città, ventiquattro anni fa, avevamo colto, quando i baresi avevano appena rinunciato a definirsi “napoletani”, per sbandierare la propria identità, aiutati dal primo film dedicato alla loro città: “La capagira”, di Alessandro Piva. Poi erano esplose le “primavere” e tutti volevano venire a ballare in Puglia.
Tutto finito? Chissà.

Maddalena Tulanti

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