Candidato al parlamento nel 2022 e alle regionali della Lombardia del ‘23, è il primo dei non eletti, Filippo Campiotti , ingegnere, sposato e padre di due figli, è presidente metropolitano di Italia Viva Milano. Gli abbiamo chiesto un parere sul percorso che vede per Italia Viva.

Brutta sconfitta della lista SUE, ma un milione e 700.000 elettori distanti dai due poli ci sono. Così come avevano detto le politiche del 2022, con il 7,8% del terzo polo. Anche tra i giovani sente questa distanza da Schlein e Meloni?
«Mi sembra che i giovani siano più liberi di ragionare fuori da uno schema bipolare. C’è voglia di vedere cose che funzionino, soluzioni ragionevoli a problemi concreti. I due poli sono schiacciati su posizioni ideologiche: molti percepiscono una distanza e occorre un’alternativa. Il Terzo Polo lo è stata. Ora abbiamo perso metà dei voti del 2022: senza una proposta chiara e forte rimane il meno peggio o il non voto».

Ecr diventa terzo gruppo in Europa perché Renew arretra. Di chi le responsabilità della sconfitta?
«Abbiamo consenso ma non siamo incisivi: questo è realismo. La vera sconfitta è iniziata più di un anno fa quando si è interrotto il percorso del Terzo Polo. Come dice Renzi, discussione da lasciarsi completamente alle spalle. Poi all’interno dello scenario di SUE ci sono state scelte sbagliate per le quali ci siamo giocati quello 0,2% mancante, come non candidare i leader al Nord-Est. Ma sono considerazioni marginali: non siamo arrivati pronti con una forza unitaria».

Italia Viva ha scelto un percorso unitario insieme a chi ci stava, bisognava insistere di più sul terzo polo, sull’unità dei riformisti?
«Sì, ma non è tanto una valutazione tattico-strategica ma un aspetto di realtà. Negli ultimi 14 mesi in che cosa siamo stati incisivi? Quanti voti abbiamo guadagnato? La realtà dice che non abbiamo eletto nessuno e abbiamo perso voti. Nei sei mesi precedenti abbiamo dato vita a una realtà dell’8% circa che ha eletto 21 parlamentari. Unirsi chiede sempre qualche sacrificio, ma è evidente che siamo all’ultima chiamata. Per quanto ancora questi elettori saranno disponibili a vedere il loro voto essere ininfluente?»

Guardiamo avanti. Qual è il percorso che vede, adesso?
«Occorre un percorso che definisca una chiara posizione ideale e politica che faccia capire che idea abbiamo della società italiana e del posizionamento in Europa e nel mondo. Da qui un processo che potrebbe essere molto partecipato e che dovrà confluire in primarie aperte per formare un partito unitario. Bisogna essere oggettivi e riconoscere quali sono gli elementi che oggi impediscono la nascita di questo partito. Renzi e Calenda non posso guidare questo processo perché altrimenti il processo non avviene. In questo Renzi è stato estremamente generoso e razionale: lui ha lanciato lo slogan “un Terzo Polo con un terzo nome”. Chiedo a Calenda la stessa lucidità e generosità. Profili autorevoli come i loro sono irrinunciabili ma devono essere a supporto di chi guida».

I più giovani, in un partito giovane come IV, avranno sempre in Matteo Renzi un riferimento costante?
«Se molti di noi più giovani hanno deciso di dedicare il loro tempo e le loro energie per la politica è stato anche e soprattutto per la fortuna di aver visto in azione qualcosa di diverso, di bello: l’esperienza di governo di Matteo Renzi. Per me lui, così come tante persone che poi nel tempo ho avuto la fortuna di conoscere, rappresenteranno sempre un punto di riferimento e uno spunto di metodo: la politica si fa volendo risolvere i problemi della gente, non dovendo difendere delle posizioni precostituite».

Lei indica il percorso delle primarie aperte. Bello, ma anche per quello serve condivisione: un regolamento, un minimo di struttura per le schede da votare e il loro conteggio…
«Ed è per questo che il processo va affidato a persone nuove, persone che hanno come unico obiettivo e priorità quello di dare un contenitore a un voto che già esiste e che chiede di non rassegnarsi al quadro attuale. Che siano realtà terze o persone interne ai partiti serve questo spirito. Io dal canto mio posso dire che noi giovani questo spirito ce l’abbiamo e che quindi siamo a disposizione per dare un contributo».

La prospettiva è quella di un partito unico dei riformisti o un soggetto federato, capace di tenere insieme anime e storie diverse?
«Serve una cosa definitiva: io sogno un grande partito che già dal nome colpisca sull’ideale in modo da azzerare il discorso sul da che parte stiamo: siamo una possibilità terza che contiene più anime. Per esempio “partito socialista e popolare” o “democrazia è libertà”, nomi che facciano capire la nostra intenzione di isolare gli estremi e la nostra afferenza a culture che intendono la democrazia come strumento di accrescimento delle libertà. Un partito che rimetta in moto le grandi famiglie della partecipazione politica di popolo e che si occupi dei problemi quotidiani del popolo».

Occorre un federatore esterno o al contrario, un arbitro di grande esperienza o al contrario un front man/woman nativo di questo soggetto?
«Può essere chiunque per il quale venga prima il progetto: una roadmap che contempli tutti i passaggi fino alla cancellazione di qualsiasi zona d’ombra sui contenuti, roadmap sulla quale tutti ci impegniamo. Sono convinto che ci siano persone o realtà terze, dentro o fuori dai partiti dell’area, su cui può ricadere la fiducia di tutti».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.