Nei contesti politico sociali nei quali a prevalere sono la cultura liberale e la forza dei diritti, è continua la discussione sulla natura e qualità della pena, che nel nostro ordinamento – nella forma della reclusione – è chiamata a definire la fattispecie penale, al fine quantomeno di individuare forme alternative di espiazione, benefici, interventi per rendere concreto il divieto di trattenere le persone in condizioni inumane o degradanti, per dare alla sanzione il ruolo che la Costituzione le assegna. Nel nostro Paese la realtà è il sovraffollamento e un numero impressionante di suicidi in carcere. Accanto alla pena del carcere vi è un fenomeno ben più corrosivo dei principi dello stato liberale, che desta inquietudine già nella sua definizione: carcerazione preventiva.

Più di un quarto delle sessantamila persone che oggi si trovano in carcere lo sono in regime di custodia cautelare, locuzione meno caustica, che però sempre indica la reclusione senza processo. Tanti poi vivono questa condizione rinchiusi nel loro domicilio o sottoposti comunque a misure limitative della libertà personale. Il carcere prima della condanna risulta incompatibile, sul piano logico, con il principio di presunzione di innocenza, il cui corollario è il divieto di esecuzione di una qualsiasi pena prima che sia emessa una sentenza di condanna e che questa sia divenuta definitiva.

Il principio rovesciato

La carcerazione preventiva è una caratteristica dei sistemi processuali di tipo inquisitorio che, nella loro ispirazione autoritaria, rovesciano il principio, e dunque la limitazione della libertà personale nella fase istruttoria è la regola, al punto da definire l’inquisito libero “in libertà provvisoria”.
Nel sistema accusatorio la provvisorietà dovrebbe caratterizzare la cautela, che dovrebbe essere condizione eccezionale a fronte di stringenti presupposti, all’incrinarsi dei quali la libertà personale dovrebbe essere immediatamente garantita. Purtroppo la nostra storia, anche recente, vede l’intervento della custodia cautelare nelle situazioni nelle quali il reato contestato definisca in sé una certa gravità; a volte alla custodia viene attribuita la funzione impropria di sollecitare una condotta collaborativa da parte dell’accusato, non tanto nella forma volgare del “se parli, esci” ma nella versione più raffinata secondo la quale la ammissione di responsabilità è elemento sufficiente a neutralizzare rischi di inquinamento probatorio e rasserena sul piano della prognosi di recidiva.

Carcerati in attesa

Ancor più la custodia preventiva viene spesso piegata a strumento di contrasto alla criminalità e a una funzione di difesa sociale rispetto al crimine che, come tale, prescinde dall’effettivo giudizio del rischio di reiterazione dei reati da parte della persona sottoposta a procedimento. Ovviamente, la soluzione non può che essere quella di indagini rapide, prove che si formano nel processo, tempi ragionevoli, la concreta eccezionalità della misura cautelare, da assumere solo in presenza di straordinarie esigenze, altrimenti incontenibili. Ma il nostro sistema, oramai senz’anima, non è in grado di garantire questo meccanismo, con il risultato che tanta parte della popolazione detenuta in carcere lo è senza che sia stato celebrato un processo, anche solo di primo grado. E non è un caso che proprio tra i detenuti in misura cautelare, con il carico di incertezza sulla sua durata e la anticipazione del giudizio sociale di responsabilità che la caratterizza, si verifichi un drammatico numero di sucidi.

Il collegio di giudici

Il nostro codice riserva un intero Libro, il Quarto, al sottosistema delle misure cautelari, individuandone diverse per natura e specie a seconda della gravità e intensità dei presupposti cautelari e prevedendo il carcere come extrema ratio. Da sempre però, in ogni Legislatura, il dibattito politico – istituzionale gioca sul piano delle misure cautelari una partita tra ispirazioni sicuritarie e garantismo. Proprio in queste ore è in corso il dibattito per la riforma che prevede di affidare la decisione della custodia in carcere a un collegio di giudici. Ma le scelte del Legislatore debbono poi trovare gambe nei casi concreti, nelle prassi e nelle decisioni dei giudici, e non tira buona aria, se si hanno presenti attualissimi casi giudiziari e l’esito del recente referendum, che chiedeva una limitazione delle misure cautelari: solo il 20% dei cittadini aventi diritto ha inteso votare e, nonostante l’area militante, il 40% ha detto no.