Israele e gli Stati Uniti pattugliano i cieli del Medio Oriente con droni perché cresce il timore di un attacco iraniano, ipotizzando anche l’uso di un ordigno nucleare. Biden ha fatto diffondere una dichiarazione in cui si dice che “la minaccia dall’Iran contro Israele è reale” e ha spedito a Tel Aviv il generale Michael Kurilla, un militare massiccio in uniforme verde oliva e berretto verde. Ha diverse la missione di proteggere Israele dall’annunciata rappresaglia iraniana in riposta al raid sul consolato di Damasco. La presenza di Kurilla rappresenta anche la fine del confronto diplomatico fra Israele e Stati Uniti durante il quale Biden ha chiamato Netanyahu un “asshole”, uno stronzo.

Solidarietà a Israele

Ciò che più preoccupa Biden è il voto del 4 novembre quando molti elettori sotto i quaranta anni potrebbero abbandonare il partito democratico per protesta contro la politica filoisraeliana del Presidente. Ma di fronte alla concreta minaccia iraniana adesso è il momento della totale solidarietà con Israele, cosa rafforzerà l’elettorato americano più anziano e solidale con lo Stato ebraico.

Israele si trova davanti a un doppio fronte: quello di Gaza e quello con l’Iran, mentre perde quota il progetto politico delle opposizioni di far cadere Bibi Netanyahu, perché la possibile guerra con l’Iran non consiglia cambi di governo. Israele ha di fronte il nemico assoluto: la Repubblica islamica iraniana.
Un generale israeliano in condizioni di anonimità dice: “Gli iraniani non hanno intenzione di rischiare la pelle, sono persone ragionevoli e non vogliono uno scontro diretto e preferiranno affidare la loro vendetta agli Hezbollah, o Hamas”.

L’Iran, gli scontri diretti e la bomba atomica

È dato di fatto che l’Iran abbia sempre evitato scontri diretti: l’ultima volta che combatté fu contro Saddam Hussein quando l’Iraq attaccò l’Iran indebolito dalla rivoluzione che aveva provocato la cacciata dello Sha e l’insediamento dell’ayatollah Khomeini. E nelle paludi di Bassora l’Iran vide morire una generazione di giovani avvelenati dal gas Sarin usato da Saddam. Ma l’Iran non ha mai rinunciato al proposito di distruggere Israele quando avesse prodotto la sua bomba atomica. Israele replicò che, se la bomba fosse stata prodotta, avrebbe distrutto gli impianti nucleari iraniani con esplosivi capaci di perforare qualsiasi protezione. La dottrina israeliana risale all’epoca in cui Barak Obama era alla Casa Bianca e aveva capovolto la politica del suo predecessore, il repubblicano George H. Bush, totalmente contrario a concedere fiducia all’Iran rifiutandosi di credere a uno sviluppo nucleare iraniano per usi civili.
Obama, una volta entrato alla Casa Bianca, aveva riaperto il dialogo con l’Iran sul nucleare per usi civili cosa che allarmò moltissimo Israele perché la minaccia del governo islamico è stata sempre considerata da Gerusalemme come realistica possibile. Oggi le voci di una possibile atomica iraniana sono molte e attendibili. Il tenore dei comunicati ufficiali del regime islamico è diverso da quello usato in altri casi, perché promette una rappresaglia di proporzioni “mai viste” e dagli effetti oltre ogni possibile previsione, Questo tenore e l’intensificarsi dei voli di droni iraniani ha prodotto un’ondata di panico nella popolazione civile israeliana e preoccupazione in Europa e negli Stati Uniti.

Il varco aperto

Gli israeliani sono rimasti devastati dall’ennesimo ritrovamento a Gaza del cadavere di uno degli ostaggi che si ritenevano vivi, ucciso da molto tempo. Cresce la realistica ipotesi che non ci siano più ostaggi da liberare perché neanche Hamas sa se sono vivi e dove siano. Alcuni sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani perché usati come scudi umani, altri sono morti di stenti e maltrattamenti o uccisi. Le informazioni in Israele a sei mesi dalla cattura di bambini, donne, anziani e militari, sono pessimiste e deprimenti sicché anche la voglia di combattere va trasformandosi in depressione profonda che coinvolge migliaia di famiglie. Israele ha intanto aperto un varco a Karem Shalom nel sud di Gaza dove i mezzi carichi di aiuti passano con una certa fluidità e l’esercito sta distribuendo migliaia di tende agli sfollati. La morsa si sta allentando, anche se l’invasione di Rafah è considerata imminente. Ma l’escalation con l’Iran è ormai la preoccupazione prevalente e angosciosa.

I compiti di Kurilla

Il generale Michael Kurilla ha diversi compiti. Il primo è diplomatico: rassicurare Israele sulla alleanza. Il secondo è politico: Kurilla ha esperienza personale di rapporti con l’Iran e intende sfruttare tutti i canali per dissuadere Teheran dal compiere atti irreparabili. Il terzo è strettamente militare: Kurilla coordina lo schieramento americano in difesa di Israele e la gestione dell’intelligence. Ma il problema resta: che cosa può fare davvero l’Iran? La tensione sale, entrano in campo gli specialisti di guerra nucleare, i servizi segreti guidano guerre segrete di cui pochi sanno qualcosa di certo. Ed è dall’imponderabile e dall’imprevedibile che dipende non solo il destino di Israele, ma del Medio Oriente e oltre, molto oltre.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.