La Serie A delle polemiche è tornata. L’ultima in ordine di tempo riguarda Rafael Leão che ha pubblicato una tristemente famosa fotografia di Paolo Di Canio che fa il saluto romano alla curva della Lazio, in risposta ad una critica dell’ex calciatore espressa durante la trasmissione “Il Club” di Sky. Di Canio – come molti giornalisti e osservatori – ha criticato il giocatore portoghese e Theo Hernandez per essere rimasti dalla parte opposta del campo, in disparte rispetto alla squadra, durante il cooling break, la pausa che le squadre fanno a metà tempo nelle giornate più calde, con il Milan sotto 2-1 contro la Lazio.

Di Canio e il regolamento di conti

A differenza di molti altri, Di Canio è andato un po’ oltre nei toni. Il Milan ha minimizzato provando a chiudere un dibattito divampato a livello social-televisivo-giornalistico. Paolo Di Canio ha detto testualmente, in maniera accorata e concitata: “Se succede al dopo lavoro, ai miei amici che stiamo cazzeggiando lì a giocare e uno si mette lì con la pancia gli dico ‘ao vie’ qua stiamo parlando tra di noi’. E si paga dieci euro per pagare il campo e non voglio fare populismo. Ma stiamo parlando di cose serie. Ma questa è una vergogna, questi due giocatori oh, il capitano, il capitano si mette là a parlottare… delegittimazione… come a dire ‘ma guarda questo…’, ma che stai facendo? Il mister adesso tranquillo perché lo vedi così, ma non lui, i compagni, in spogliatoio può essere chiunque… ma attaccati al muro! Ma veramente non al livello no che… ma veramente con i cazzottoni. Ma che state facendo oh. Cioè i compagni di squadra che si sentono magari declassati da loro e dal loro atteggiamento”.

Ora, non pare il caso di apparire stupiti e fare del sensazionalismo per il fatto che Di Canio evoca e pare giustificare la possibilità di un regolamento di conti nello spogliatoio in cui sia ammesso mettere le mani addosso ai due giocatori. E questo non per il significato letterale delle sue parole, che sul piano puramente lessicale sono gravi, ma per il contesto. Gli ex calciatori ci hanno abituato nella loro narrazione a giustificare le logiche di spogliatoio che a quanto pare hanno vissuto nella loro carriera. E del resto il “tu non hai giocato” e il “tu non sei stato nello spogliatoio” è il primo schermo che mettono tra loro e chi non ha il loro background, non solo tecnico ma anche culturale.

Paolo Di Canio poi non è nuovo a affermazioni di questo tipo. Anni fa – nel periodo pre-Sky – parlando di Mario Balotelli, disse che si tratta di “un egoista che pensa che il mondo ruoti intorno a lui ed ha bisogno di schiaffoni se vuole crescere, ma schiaffoni veri, benevoli”. In molti, quindi, prendono queste parole per quello che sono e per chi le ha pronunciate e le contestualizzano minimizzando: “il solito Di Canio”, di cui peraltro spesso apprezzano la schiettezza. Di Canio a volte fa capire di credere che secondo lui i regolamenti di conti fatti alzando le mani possono avere fini educativi benevoli, efficaci e condivisibili. Giudicate voi.

Rafael Leão l’istintivo 

Allo stesso tempo, tuttavia, Rafael Leão ha tutto il diritto di non accettare questi toni. Ha il diritto di non farsi dire che in risposta a un suo atteggiamento sbagliato i suoi compagni sono legittimati a picchiarlo, attaccarlo al muro e prenderlo a cazzottoni. A quel punto reagisce in maniera molto istintiva. Stando ad alcuni screenshot la prima versione del suo post sarebbe stata un retweet della stessa immagine postata da un profilo denominato “cardinale porco”, ovvero uno dei tanti profili anonimi che insultano gratuitamente un dirigente, che guarda caso sarebbe Gerry Cardinale, fondatore della RedBird proprietaria del Milan. Una gaffe social subito corretta da Leão che, avvedutosi, ha scaricato e ripostato l’immagine in prima persona. Ma una gaffe che rivela l’istintività del suo gesto. E che però in qualche modo ne sminuisce il senso.

Possiamo dedurre che se Leão non si fosse imbattuto in quella vecchia fotografia tutto sarebbe passato in cavalleria, senza alcuna sua reazione? Viene da pensare che il caso, già chiuso dal Milan, sarebbe stato bypassato anche da Sky (che al momento non si è espressa), accettando quel tipo di espressioni da un suo opinionista. E vien da pensare che anche Leão, che non ha scritto un comunicato ragionato, ma come detto nel giro di pochi minuti ha fatto un retweet istintivo e lo ha corretto, avrebbe fatto spallucce sull’accaduto se non si fosse imbattuto in quella foto?

Mettiamo nel conto pure che Leão da tempo è assai criticato, forse oltre i propri demeriti. E questo può indurre a nervosismo. Il portoghese nelle ultime due stagioni è l’unico giocatore ad avere segnato almeno 10 gol e servito almeno 10 assist in Serie A e che dal 22/23 ad oggi Khvicha Kvaratskhelia ha servito 17 assist e solo Rafael Leão (18) ha fatto meglio del georgiano nel massimo campionato in questo fondamentale. Dentro un Milan che non è ai suoi massimi storici è il giocatore dal rendimento più elevato. Purtroppo per lui una delle cose assurde del dibattito italiano sul calcio è che si discute molto più sui giocatori che valgono nove e non arrivano al dieci che di quelli da cinque in pagella. Il che non rende nessuno immune da critiche, ma pone tutti nella posizione di contestualizzare, circostanziare e misurare le critiche stesse.

Processo postumo: gli errori del giovane Di Canio

Questi episodi non hanno mai un contorno netto, solo tante sfaccettature che spesso vanno circoscritte a quello che sono. Dopo di che i processi infiniti, soprattutto condotti dai tribunali del popolo, non sono mai una bella cosa. Spiace, infatti, anche che a Paolo Di Canio venga rinfacciato quell’episodio di 19 anni fa di cui disse successivamente, nel 2017: “Non rinnego le mie idee, ma il saluto romano sotto la curva Nord. È la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera”. Molti ricordano quando lui stesso venne prima allontanato e poi reintegrato da Sky per il tatuaggio Dux sull’avambraccio destro a proposito del quale spiegò: “Non lo cancello: quel che mi porto addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori”.

Accettando questo un editore accetta anche lo stile del suo opinionista, la sua dialettica e il suo background culturale che porta ad alcuni eccessi (magari circoscritti, non pericolosi, ma pur sempre eccessi). Di Canio quel background lo esprime a modo suo. Oggi non possiamo che prendere atto del fatto che il dibattito sportivo italiano è intriso dalla giustificazione di queste logiche di spogliatoio perché dominato dagli ex giocatori che si sono formati mediamente per un decennio dentro quelle logiche. Del resto nessuno dei presenti al Club ha stigmatizzato le parole di Di Canio e noi tutti possiamo pure dirci un po’ ipocriti perché con tutta probabilità senza la reazione istintiva di Leão le avremmo archiviate senza ulteriori approfondimenti. Perché la verità è che ci siamo abituati a questi toni e non ci scandalizzano veramente.

La narrazione

Chiediamoci se ad esempio questa logica tribale e questa narrazione tossica del calcio non siano tra le cause che allontanano molti ragazzini. Ne abbiamo discusso quest’estate dopo l’eliminazione della nazionale dagli Europei: non sarà che certi retaggi del passato che tendiamo ad accettare a cuor leggero stiano scavando un solco anche generazionale, e che legittimamente qualcuno preferisce non più riconoscersi in questo sport, nella sua narrazione e nelle sue ritualità? Non l’unica ragione, ci mancherebbe, ma una delle ragioni forse sì.

E forse, infine, sarebbe interessante chiedersi se la formula della narrazione calcistica nazionale, fatta in questo modo, con una presenza dilagante di ex calciatori ed ex allenatori a scapito di altre figure professionali, non possa essere migliorata. E questo non perché la presenza di più giornalisti in studio migliori il racconto (siamo una categoria variopinta, per edulcorare il concetto), ma perché una narrazione a più voci, con più sensibilità e retaggi culturali diversi e background formativi più variegati crea sempre un prodotto migliore, più rappresentativo, inclusivo e con più sensibilità coinvolte.