Ho parlato duro con D’Alema. Veltroni gli ha detto – non so perché – che io sarei stato il responsabile della nomina a capogruppo europeo di Burlando: in realtà nella vicenda sono entrato poco o niente. Ma fa sempre comodo prendersela con il sottoscritto, sono una specie di punching ball. Quelli che non mi amano sostengono che ho un ruolo esorbitante e che D’Alema mi subisce. Lui mi manda avanti quando ci sono compiti difficili da assolvere (mettere in un posto qualche uomo suo, far fuori gente che non gli piace), poi mi scarica, “è stato Velardi”, è la formula solita. Così ero andato da lui per parlargli con calma dello staff e del suo funzionamento, mi sono incazzato per l’accusa di Veltroni e gli ho fatto una sfuriata. Mi pare l’abbia accolta e ne abbia compresi i motivi. Abbiamo deciso di fare una riunione per capire come dobbiamo funzionare. Si vedrà. Nell’incontro ne ho avuto anche per Marchini, che lui è andato a visitare nel fine settimana. Gli ho detto omissis, lui ha confermato: “Ma Alfio è dell’Opus Dei”. Quando ci siamo sentiti, domenica mattina, mi ha raccontato una battuta simpatica. Marchini aveva trovato un fungo. Lo aveva definito un “ex-porcino”. Lui gli ha detto: “Attenzione, perché se gli ex-porcini sono come gli ex-comunisti, si sa che cosa erano, ma non si sa cosa sono diventati”. Fine. La settimana forse comincia bene, in un buon clima politico e meteorologico.

C’è Emilio Fede a Palazzo Chigi, esce un’agenzia e D’Alema se la prende con lo staff. Esce un pezzo di Rampini sull’elettricità e se la prende con lo staff. Addirittura, esce Colletti con delle dichiarazioni dissennate dopo l’incontro con D’Alema e lui quasi se la prende con lo staff. Il problema esiste, e noi lo dobbiamo affrontare. Ha diversi aspetti, che non elenco. Comunque, un buono staff non indebolisce il leader, anzi lo rafforza. È tipico di una cultura vecchia (quella da cui proveniamo) segnare una demarcazione arcaica tra funzioni “politiche” e funzioni “tecniche”. Il politico, nel suo sinedrio, prende le decisioni. La loro attuazione diventa una funzione meramente accessoria, una finzione in realtà. Quello che interessa è che le decisioni siano prese, non attuate… Nel fine settimana (14 novembre e seguenti) scoppia il caso Ocalan, il curdo accolto in Italia. D’Alema se la sbroglia bene nel briefing di lunedì. La mattina di martedì convulsioni per il discorso che deve tenere alle 12 in Aula. Lavoro con Fassino, Dassù, Verderame, Cuillo, Latorre, Cascella… tutti sulla palla, come all’oratorio. Il risultato è ottimo, buona la scaletta, naturalmente superbo D’Alema, che stende tutto il Parlamento. Il problema che mettiamo a fuoco è che, al di là delle emergenze, bisogna organizzare meglio l’agenda. Probabilmente devo metterci mano. La soluzione potrebbe essere darci un’organizzazione, tra me e Nicola, che affidi a lui le responsabilità “in entrata” delle cose di D’Alema, e a me quelle “in uscita”. Bisogna pensarci meglio.

La vicenda Ocalan va analizzata bene. Intanto c’è stato all’inizio un piccolo buco nero. La mattina in cui D’Alema parlò con Minniti per dirgli di seguire la cosa… come nasce la faccenda? Chi ne ha parlato per primo a noi? La cosa va vista perché mette in causa i servizi italiani. Cosa hanno combinato? Siamo quasi a un mese dall’avvio della presidenza D’Alema. Possiamo fare un bilancio? Provvedimenti importanti approvati: la liberalizzazione dell’elettricità (passata sotto silenzio), e poi? Confusione e mancanza di comunicazione su scuola e lavoro. Diliberto dice quello che gli pare, i centri sociali vogliono un’intesa con il governo (ma di che si tratta?). Scognamiglio dice che va abolita la leva. E il governo che dice? E poi il casino di Ocalan. Schroeder ha fatto autocritica per i primi atti del suo governo. Potremmo fare altrettanto? Quali sono i principali problemi del governo D’Alema? 1) ognuno dice quello che cazzo gli pare. Si era detto dal primo momento che bisognava evitarlo. Si può dire una parola, si può fare qualcosa? 2) deve essere più evidente il taglio innovativo e radicale del governo. Non è possibile che ogni cosa debba finire nel tritatutto della mediazione all’italiana.

La maledetta eredità negativa della sinistra rischia di farsi sentire sull’attività di governo: Ocalan, Telecom, scuola, centri sociali. Il 26 e 27 novembre seguo D’Alema prima a Madrid e Bruxelles, poi a Bonn per l’incontro con Schroeder. Pranzo con Aznar, antipatico e supponente. Imponente accoglienza a Bonn, in elicottero e drappello d’onore a Colonia. In aereo do il via all’offensiva. Con il consenso di Dassù e Verderame parto lancia in resta contro Vattani, faccio la parte del pazzo, come sempre. La faccenda Ocalan è un casino e ci procura molti danni, non c’è niente da fare. Con D’Alema partono i soliti scazzi (mi dice “sei un fascista”, perché Ocalan proprio non lo sopporto). Nei giorni successivi torna un po’ di buonumore. Si stabilisce il viaggio a New York, D’Alema si appassiona molto al caso Ocalan – adesso è sempre più per il processo in Italia – e lo gestisce giocando a risiko, come piace a lui. Non gli piacciono le cose lineari, le soluzioni semplici. È un maestro nel creare casi complicati da risolvere. Il punto è che così non si capitalizza mai molto, perché ogni questione è sempre caricata di pesi impropri. Sostiene Imperia (2 dicembre) che vi sono due cordate nel campo finanziario cattolico: una più “osservante” e strettamente Opus Dei (Bazoli, Masera…), l’altra più laica (Romiti, Geronzi, Maranghi, Draghi). Chi sa chi è veramente lmperia. Ma non è un mestatore, è ben introdotto e leale. A me è simpatico.

Passano i giorni, il governo non va male anche se non c’è nessuna impennata. Panorama l’11 dicembre fa un pezzo sulla cena del risotto e mette nel mirino il povero Pino Marzo. La Melandri rischia di combinare guai sulla Formula Uno a Imola, risponde in modo sbagliato a Muti sulla sua assenza alla prima della Scala, mette in agitazione il Coni con i suoi propositi di riforma. Marchini mi chiama, dopo una burrascosa telefonata di alcuni giorni prima. Ci sentiremo e ci vedremo prossimamente. Giorni grigi: si cerca di realizzare il patto del lavoro (siamo al 14 dicembre), si lavora per districare l’affare Mose, l’affare Ocalan, l’affare scuola, l’affare 513, ma non ci schiodiamo. Il governo lavora benino, conquista una faticosa sufficienza, ma non va oltre. Il massimo sforzo per il minimo risultato. Colaninno ha prima chiesto un appuntamento tramite Bersani, e poi ha visto D’Alema lunedì 14, sempre insieme a Bersani. Ha detto di aver ricevuto credito da un pool di banche americane per 40 miliardi di dollari. Con questi soldi lancerà un’Opa per l’acquisto del 25% di Telecom, pagano le azioni il 30% in più. Poi venderanno Tim (dove vogliono spedire Bernabé) magari ad Agnelli, acquisendo il controllo totalitario, venderanno Omnitel a Bendelsmann (un italiano – tipo Caltagirone – potrebbe prendere il 10%), e si candideranno per il 4° gestore della telefonia, utilizzando le ultime tecnologie (telefonino satellitare, etc…). Colaninno lavora con un gruppo di imprenditori del Nord-Est.

Sto affrontando la questione Verderame, che deve essere avvicendato e spedito a Budapest. Vattani lo odia, io sto cercando di condurre le cose in maniera soffice. Non so come finirà, ora Verderame ha visto anche D’Alema. Mi pare buono l’esito: andrà via con soddisfazione di tutti. Si cerca di correggere la legge sulle Fondazioni, dando a questi istituti un carattere meno chiuso e imponendogli di funzionare come Enti non profit, con finalità sociali e non economiche. Si cerca un accordo sul Mose, il sistema di dighe per Venezia. Gli ambientalisti sono naturalmente contrari, Minniti ha convocato la Melandri, Ronchi e Cacciari per discuterne. Vediamo. Pare che poi la riunione sia andata bene. Minniti ha individuato una strada, sostiene. L’agenzia per il Mezzogiorno è fatta. Abbiamo concordato con Minniti e Rossi una procedura da seguire per i vertici. Bisogna dare ad intendere che non se ne parlerà prima del 20 gennaio, ma in realtà contiamo di concludere entro il 7-8. Forse qualche giorno dopo, mi dice la mattina del 15 Rossi.

(2. continua)