Goffredo Bettini è un esponente politico di rara intelligenza e di grande onestà intellettuale. Da buon ex o post comunista – ma sempre culturalmente comunista resta – ha posto, giustamente, il problema di come allargare la coalizione delle sinistre unite al Centro. Tema decisivo se, in Italia, si vogliono vincere le elezioni in alternativa alla coalizione di centro destra guidata da Giorgia Meloni. Anche perché, come tutti sanno, nel nostro paese le elezioni si vincono al centro. Cioè recuperando quei segmenti sociali, culturali e politici che erano, sono e restano determinanti per la vittoria elettorale.

Detto questo, però, la ricetta del simpatico Bettini riflette un vecchio tic ideologico – questo sì di matrice comunista – che squalifica il Centro ad una sorta di ruota di scorta. E il tutto coincide, almeno così pare di capire, in un disegno pianificato a tavolino su come coinvolgere ed inglobare il cosiddetto Centro nell’alleanza di sinistra. Un rinnovato ‘Fronte Popolare’ allargato a qualche scheggia centrista. Insomma, un progetto politico eterodiretto dall’alto dove si costruisce il mosaico con i vari tasselli. Ma il progetto del Centro, come qualsiasi altro progetto politico, culturale e di governo, non nasce mai dall’alto. Non può essere credibile, e neanche realisticamente percorribile. A maggior ragione in un contesto come quello contemporaneo caratterizzato da una profonda e alquanto nefasta radicalizzazione della lotta politica. Una lotta che esalta i rispettivi massimalismi e che rischia di scivolare in modo sempre più irreversibile verso la deriva degli “opposti estremismi”.

Il progetto politico, quindi, deve essere serio e credibile. Cioè deve nascere dal basso e non può essere teleguidato dall’alto. Anche, e soprattutto, in una coalizione che vede l’alleanza tra la sinistra radicale e massimalista della Schlein, la sinistra fondamentalista e ambientalista della coppia Fratoianni/Bonelli e la sinistra populista e demagogica dei grillini. E, al riguardo, come verrebbe concretamente concepito l’allargamento al Centro? La risposta individuata è molto semplice. Dal quartier generale del Nazareno si individua il profilo – e ovviamente il nome e il cognome – del futuro “federatore” di questa potenziale area centrista e il gioco è fatto. I nomi sono quelli apparsi abbondantemente sui giornali. E cioè, o persone attualmente iscritte al Pd oppure personalità che gravitano attorno al Pd ma non hanno ancora la tessera di quel partito. In entrambi i casi è abbastanza evidente che si tratta di un gioco delle tre carte, come si dice in gergo. Ovvero, un meccanismo che non porta affatto nuovo consenso elettorale ma che permette agli azionisti della coalizione di sinistra di sostenere che nell’alleanza è presente anche il Centro.

Possibilmente di area cattolica. Insomma, la solita prassi del vecchio Pci che prevedeva all’interno delle sue liste i famosi “indipendenti di sinistra” cattolici o l’antico metodo comunista dei cosiddetti “partiti contadini”, cioè strumenti politici inventati dall’alto per confermare la natura plurale della coalizione del tempo. Che, detto fra di noi, sono metodi che confliggono radicalmente rispetto ad una concezione autenticamente democratica e rispettosa del pluralismo che devono sempre caratterizzare la composizione di una coazione politica e di governo. Ecco perché, se queste sono le premesse ideologiche e di metodo, è di tutta evidenza che anche nella futura alleanza che raggruppa le diverse ed articolate espressioni della sinistra italiana non può esserci una vera forza centrista, riformista e di governo inventata e pianificata dall’alto.

Anche perché quella cultura, quel pensiero, quella tradizione e, soprattutto, quel progetto politico devono avere una vera ed autentica cittadinanza all’interno della coalizione. Detto in altre parole, ci deve essere un minimo comune denominatore sul versante valoriale e politico tra i vari partiti che si riconoscono nel progetto complessivo. Non possono essere, di grazia, solo la lotta ad un fantomatico fascismo o una altrettanto astratta e virtuale lotta contro la dittatura o svolta illiberale le motivazioni decisive e qualificanti che uniscono un Centro popolare, moderato, riformista e di governo con una sinistra radicale, massimalista, fondamentalista, populista e demagogica. E questo perché, ieri come oggi, i progetti politici hanno un senso e possono giocare un ruolo decisivo nella vita pubblica del nostro paese solo se sono espressione di una domanda della società che sale dal basso. E non operazioni che vengono studiate e pianificate dall’alto.