Le persone sono molto più del loro curriculum vitae. Sono molto più della loro esperienza lavorativa. Molto più della loro istruzione. Chi potrebbe mai affermare il contrario? Il guaio è che il curriculum, se non è morto, non se la passa benissimo: è ancora un documento Word in cui un candidato, alla ricerca di lavoro, inserisce prevalentemente istruzione ed esperienza lavorativa, con un pizzico di competenze extra. Ed è questo che, secondo gli esperti, rischia di mettere in difficoltà le aziende alla ricerca di personale. Perché, da un lato, non ricevono da subito le informazioni di cui hanno bisogno e, dall’altro, i candidati non hanno alcuna opportunità concreta di mostrare davvero chi sono fin dall’inizio.

Le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa e la migliore definizione degli strumenti digitali hanno reso più facile e veloce la creazione di cv e lettere di presentazione, ben lontani, oramai, dal noioso carattere Times New Roman su una pagina A4 altrimenti vuota. Ma c’è un rovescio della medaglia: hanno generato anche un “mare di uniformità” nelle domande di lavoro. “Molti candidati scelgono semplicemente uno dei modelli di cv predefiniti, offerti dal loro fornitore di software”, spiega in un recente episodio del podcast “Working it” del Financial Times Govind Balakrishnan, vicepresidente di Adobe Express, applicazione di design digitale sviluppata da Adobe, la famosa casa di sviluppo statunitense. E suggerisce agli utenti di essere più consapevoli quando sperimentano nuovi formati per le candidature.

Uno dei rivali di Adobe, il più giovane e accessibile Canva, con sede a Sydney, offre strumenti di progettazione simili e vede, ogni anno, oltre 900 milioni di utenti creare cv sulla propria piattaforma. In un sondaggio condotto da Canva su oltre 5.000 responsabili delle assunzioni, il 39 per cento ha affermato che il loro più grande problema con i cv è che includono troppo testo.
Duncan Clark, responsabile dell’azienda per l’Europa, spiega che rispetto al passato, molto è cambiato: oggi c’è la tendenza a collegare informazioni aggiuntive o ad allegare un portfolio separato di lavori, conservando il cv come “un documento elegantemente impaginato, breve, conciso e che cattura i punti chiave in modo molto leggibile”. “Quello che abbiamo visto è una crescente sete di comunicazione visiva”, afferma Clark, aggiungendo che gli strumenti digitali hanno reso possibile per coloro che non hanno competenze specialistiche in progettazione, di “presentarsi in un modo visivamente accattivante”.

La ricerca di Canva ha inoltre scoperto che circa il 45 per cento dei candidati in cerca di lavoro ha utilizzato l’intelligenza artificiale generativa per creare, aggiornare o migliorare il proprio cv, ottenendo risultati positivi. Nell’ultimo anno, i chatbot di IA – come ChatGPT di OpenAI e Bard di Google – hanno molto semplificato la generazione di testo, rendendola simile alla scrittura umana, tramite l’intelligenza artificiale generativa. Il che significa che i candidati sono in grado di inserire una descrizione del lavoro nel chatbot e chiedere di generare una lettera di presentazione o di rispondere alle domande. Possono anche inserire i propri cv nel sistema, chiedere feedback o modifiche e rendere il testo più specifico per i requisiti del ruolo. Ma dal momento che condurre una conversazione con l’IA non è affatto banale – occorre sempre spacchettare le risposte in modo da avvicinarsi gradualmente all’obiettivo che ci si propone – molti candidati si limitano a incollare semplicemente il cv in ChatGPT e inviare risposte sempre uguali. Per poi essere puntualmente scartati dalle risorse umane delle aziende. Utilizzata in questo modo – come un jukebox – l’IA non è di alcun aiuto nella ricerca di lavoro: il contesto, per esempio, avvertono gli esperti, è fondamentale. E più informazioni di contesto si riescono a fornire all’Intelligenza artificiale e migliore sarà la sua risposta: questo principio introduce quello della personalizzazione che, se applicato bene, potrebbe farvi selezionare da tutti i reclutatori!

Ma qualcuno è andato oltre. Neurosight, con sede nel Kent, crea valutazioni online pre-assunzione e offre consigli su come eliminare i pregiudizi nei test. Jamie Betts è fondatore e responsabile dei prodotti di Neurosight: “Le valutazioni online convenzionali richiedono molto tempo, sono spesso imprecise, creano distorsioni e sono facili da imbrogliare usando strumenti come ChatGPT. Abbiamo deciso di cambiare le cose”. Come? “Combinando neuroscienze e intelligenza artificiale, creiamo valutazioni che identificano accuratamente i talenti senza pregiudizi, in 3 minuti”: la maggior parte delle valutazioni online applica algoritmi di punteggio “universali” in modo identico a ogni candidato, danneggiando la diversità e la neurodiversità. Perciò, spiega al Financial Times, “abbiamo creato un modo migliore: i nostri algoritmi basati sull’intelligenza artificiale rispondono dinamicamente alle differenze individuali, eliminando i pregiudizi e potenziando risultati di assunzione equi”.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi