Libro molto forte, questo di Neige Sinno, autrice di “Triste tigre” (Neri Pozza, trad. di Luciana Cisbani) che ha avuto un bel successo in Francia e che squaderna con durezza sostanziale e buon stile formale la tremenda vicenda personale: abusata per anni da bambina dal patrigno. Il dolore di Neige viene raccontato con fredda passione, come se lei non stesse parlando di sé pur avendo consapevolezza che proprio di lei si tratta, proprio di quella orrenda vicenda, proprio di quel patrigno infine denunciato e condannato. Spesso lo stile è cronachistico, giornalistico: i fatti.

Il groviglio interiore di Sinno si srotola pagina dopo pagina, facendo i conti con chi in vario mondo ha scritto del crimine dello stupro, e su una bambina poi, Virginia Woolf in primo luogo. E dunque, a tanti anni di distanza da quei fatti, l’autrice lotta con la memoria sapendo che questa non serve certo a rimarginare la ferita ma forse a sentirsi ancora vivi, nella condizione descritta da Annie Ernaux – scrittrice che Sinno deve amare molto – per cui ricordare equivale a “esplorare il baratro tra la sconcertante realtà di ciò che accade nel momento in cui accade e la strana irrealtà che, anni dopo, ammanta ciò che è accaduto”. Affiora tutto, nel ricordo. Anche l’immagine del patrigno, esteriormente una brava persona e gran lavoratore, come si dice e dicono i testimoni al processo, dove non potrà evitare la condanna anche perché ammette la sua colpevolezza. Perché è successo l’orribile? Perché è toccato a questa ragazzina un po’ selvatica, così piccola, così sola (dove stava la madre che nulla vedeva)?

“Un giorno ho capito che tutto quanto, stupro, infanzia, famiglia, era finito. Adesso potevo andarmene e vivere la mia vita. Ho creduto di essere libera. Ma non si è mai completamente liberi, perché niente finisce per davvero, e se diventiamo qualcun altro, anche la parte buia prosegue imperterrita”. Neige si fa largo nella foresta della vita, senza che questa storia – scrive – abbia un happy end, perché semplicemente non è una possibilità reale. Quello che si può fare, e non è poco, è “non cadere, non cadere, non cadere”. Perché “noi abbiamo attraversato paesi di tenebre e ne siamo usciti, non indenni, certo, ma almeno vivi”. E leggendo Neige Sinno s’intende che la letteratura, l’atto flaubertiano di scrivere, ha tenuto accesa la fiamma dell’esistenza.