Nemmeno il tempo di far filtrare “irritazione” per il forcing di Matteo Salvini contro il presidente francese Emmanuel Macron sulle truppe occidentali in Ucraina che Palazzo Chigi si trova a fronteggiare una nuova offensiva della Lega sul conflitto tra Kiev e Mosca. “Noi non saremo mai d’accordo con chi ci vuole mandare in guerra contro la Russia”, spiega un dirigente della Lega in Transatlantico a Montecitorio. Un innalzamento dei toni che continua, nonostante le rassicurazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani sul no a militari italiani in territorio ucraino. La linea del Carroccio è semplice: agitare il pericolo di uno scontro tra la Nato e il Cremlino per lucrare più consensi possibili alle prossime elezioni europee.

Un atteggiamento che sta indispettendo, non poco, la premier Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio viene descritta come sempre più “irritata” per la campagna pacifista di Salvini. Un’irritazione che, secondo diverse fonti di FdI, si alterna alla vera e propria rabbia nei confronti del vicepremier e ministro delle Infrastrutture. Nervosismo comprensibile, perché Meloni sta spendendo molto del suo capitale politico a livello internazionale per accreditarsi come fedele all’Alleanza Atlantica e agli Stati Uniti d’Europa. L’affidabilità in politica estera, nella testa della premier, serve a silenziare le sirene europee e americane sul “pericolo” di un governo di estrema destra in Italia.

La vicinanza alla Nato è utile per scacciare i fantasmi del fascismo. Ma a scombinare i piani di Meloni ci pensa Salvini. Che sta puntando tutto sul “pacifismo”. Tra manifesti, card sui social e dichiarazioni. Come quelle di Claudio Borghi, che è anche candidato alle europee: “Un voto per me in Europa è un voto contro l’invio di armi in Ucraina”. Che poi è quello che ha detto Salvini negli scorsi giorni, parzialmente corretto dal capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo. “È giusto sostenere la resistenza ucraina perché questo è quello che abbiamo votato in Parlamento, ma ci preoccupa molto il fatto che si senta parlare solo di armi e non di negoziati”, ha spiegato Romeo la scorsa settimana.

Un modo per tranquillizzare gli animi in vista del voto parlamentare sul nono pacchetto di armi italiane all’Ucraina, che potrebbe arrivare in Aula tra giugno e luglio. In ogni caso dopo le europee. Questo perché la campagna elettorale potrebbe ispirare trappole da parte della Lega. Ma non è escluso che le fibrillazioni ci siano lo stesso. Già soltanto la mancanza di qualche voto in maggioranza sulle armi a Kiev metterebbe l’esecutivo su un crinale pericoloso. Con Meloni in difficoltà davanti agli alleati occidentali. Per di più in sostanziale concomitanza con la riunione del G7 in Puglia, prevista il 13 giugno. Ma anche alla vigilia del vertice della Nato del 9 luglio a Washington. Una situazione potenzialmente esplosiva.

Mine da disinnescare, per Meloni. Che nel giorno in cui incontra a Roma il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg rinnova ai suoi la consegna del silenzio. L’ordine a Fdi è di “non cadere nelle provocazioni” dei leghisti sull’Ucraina. Con l’obiettivo di non offrire all’estero l’immagine di una coalizione che litiga sulla guerra. Un dossier su cui Meloni si sta giocando molta della sua reputazione internazionale. Salvini, invece, sta scommettendo sul pacifismo.

E così se Romeo fa il “poliziotto buono”, il ruolo del “poliziotto cattivo” spetta al vicesegretario del Carroccio, il salviniano Andrea Crippa. “Noi siamo contro l’invio di altre armi all’Ucraina”, insiste Crippa nei corridoi della Camera. Il deputato vicino a Salvini si dice anche contrario all’invio del sistema missilistico italiano Samp-T: “Questo è uno strumento che non serve più solo a difendere i cittadini ma rischia di essere anche offensivo: questo è uno strumento per fare la guerra alla Russia e noi diciamo no”. Poche ore dopo Stoltenberg ringraziava personalmente Meloni per “la fornitura all’Ucraina di un sistema di difesa aerea Samp T insieme alla Francia”.

Intanto la Lega continua a provocare Macron. “Ho invitato l’ambasciatore di Francia a venire a conferire davanti alla commissione che io presiedo sulle pericolose parole pronunciate dal Presidente Macron”, dice in Aula alla Camera il leghista Alessandro Giglio Vigna, presidente della Commissione Politiche Ue a Montecitorio, riferito all’ipotesi, ventilata dal presidente francese, di un invio di truppe europee in Ucraina.

Salvini cavalca anche le frasi dell’ex premier Mario Monti, che a Radio 24 avrebbe ipotizzato l’invio di contingenti sul terreno. “Mi turba che dopo Macron, anche Monti oggi parli dell’invio di soldati italiani a combattere in Ucraina. Questi vanno curati: sono pericolosi”. E ancora, su Facebook: “Monti e Macron quando partono? Soldati italiani a morire in Ucraina? Mai”. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani glissa: “Non commento Salvini, non manderemo nessun militare italiano in Ucraina”. Meloni incassa e dice ai suoi di non replicare.