Il vero fatto politico dei giorni scorsi non è l’annuncio in pompa magna e relativo impatto comunicativo della candidatura di “Giorgia” (varrà la scritta del solo nome sulla scheda?), né la discesa in campo del generale Vannacci, e tantomeno le scontate, ripetitive tensioni e divisioni nell’arena sanguinante del centrosinistra o comunque lo si voglia chiamare.

Il fatto politico vero e nuovo è l’ormai celebre chat whatsApp creata da Massimo Giannini all’indomani del 25 aprile per celebrare i valori della Resistenza e dell’antifascismo, che ora è migrata su Facebook, dando vita ad un gruppo chiuso (centrale operativa cui si accede con un via libera dell’amministratore) e ad una pagina pubblica, che tutti potranno seguire da semplici follower. Nome di pagina e gruppo: “È sempre 25 aprile”, deciso dal fondatore con un sacrosanto atto d’imperio, malgrado fosse piuttosto gettonato il marchio “Bella Chat”, più “pop” e “vicino ai giovani” (sic!), a detta di molti.

Procedure poco democratiche, si dirà. Ma non mi sento di criticare per questo Giannini, cui sono bastati pochi giorni per capire in che razza di guaio si era cacciato, concedendo a chiunque il diritto di esternare. Io nella chat sono finito per caso. Un amico mi ci ha buttato dentro con l’intenzione di rafforzarne la componente “liberal” (qualunque cosa voglia significare) e ho accettato l’invito: per educazione, per non deluderlo, soprattutto – naturalmente – per curiosità giornalistica. Lo ringrazio ancora, perché non mi aspettavo che le presenze fossero così succulente (praticamente tutta la sinistra intellettuale, giornalisti e magistrati in testa, e una parte non secondaria della sinistra politica) e la discussione così intensa e appassionata (lo dico sul serio, senza alcuna ironia).

In assoluto silenzio ho seguito l’evoluzione del gruppo, con i suoi inevitabili, iniziali contorcimenti. E le due riflessioni che seguono intendono essere massimamente rispettose dello sturm und drang che agita questo importante pezzo dell’élite intellettuale del paese.

La prima considerazione riguarda il programma della comunità nascente, meta agognata di chiunque, a sinistra, voglia darsi un tono, rifuggire dall’odiato “politichese” e mostrare una rocciosa, operativa concretezza. Perché va bene, e ci mancherebbe, l’indelebile matrice antifascista, resistere è sempre da medaglia, ma poi anche persone senza bisogni impellenti, insomma oltre una certa fascia di reddito – e nella chat ho l’impressione che ve ne siano – devono rispondere alla domanda leninista.

Cioè “Che fare”, su quali temi fare leva per andare al di là delle petizioni di principio, creare consenso sociale, non limitarsi a gridare l’opposizione alla detestata destra che governa il paese. E qui apriti cielo. Perché dal premierato all’autonomia differenziata, dalla sanità al lavoro, dall’ambiente all’energia le emergenze si sprecano. Ma si sprecano anche i NO a tutto, e non si intravede ancora un solo tema su cui la chat degli ottimati possa trovare un’intesa.

La seconda questione è intimamente legata alla prima. Almeno dal 2001, dopo ogni sconfitta della sinistra di governo, la mobilitazione degli intellettuali scatta di default. “Con questi dirigenti non vinceremo mai”, urlava Moretti nel 2002 promuovendo girotondi, mentre Cofferati portava in piazza la protesta: l’obiettivo era spingere i dirigenti della sinistra a cambiare strada, quale che fosse. Un po’ di anni dopo, nel 2018, furono le “sardine” a correre in soccorso della sinistra emiliana che pareva soccombere per mano della Lega.

Oggi quello che impressiona è che la chat di Giannini alla politica neppure si rivolge più. Agisce in un mondo sdegnosamente separato, gli stessi esponenti di partito in chat sono silenti e guardinghi, hanno timore persino di interloquire. Mentre Giorgia – altro che 25 aprile! – fa politica e si impadronisce anche di Berlinguer. Lasciando gli ottimati a chiedersi con angoscia come si fa ad accedere ad una pagina Facebook (è la discussione che al momento domina, sono le 19.30 di lunedì 29 aprile).