Cos’altro di meglio ci si poteva aspettare dall’incontro svizzero? Ne è uscita una mappa arlecchinata dei sì, dei no e dei forse no su come chiudere la guerra in Ucraina in un modo diverso che sia quello della resa proposta da Putin con faccia, sia detto col dovuto rispetto, da tolla. La pace ha fatto dei passi avanti? Questo lo sapremo più in avanti. Ma intanto sono stati mossi molti passi importanti, come l’Arabia Saudita che non ha aderito alla risoluzione finale ma ha annunciato la sua entrata in gioco. Verrebbe voglia di citare la solita frase secondo cui quando il gioco si fa duro i duri entrano in campo, ma ce la risparmiamo perché l’Arabia Saudita è una potenza emergente del tutto nuova rispetto agli usi e ai costumi con cui siamo abituati a definire democrazie e dittature.

L’Arabia Saudita è una potenza non soltanto economica ma anche tecnologica, in cerca di partner tecnologici come Israele con cui stava per firmare l’accordo di Abramo quando Hamas scatenò la guerra del 7 ottobre. Il regno Saudita – dopo lunghissime riflessioni – ha accettato il ruolo che gli americani gli hanno proposto, sapendo di avere a che fare con la più assoluta delle monarchie assolute. Ovvero la più totale negazione di ogni principio di libertà costituzionale, ma interamente riprogettata in stile occidentale: non soltanto le donne guidano le automobili, ma il governo di Riad investe cifre gigantesche in operazioni culturali per portare – in teatri improvvisati nel deserto – molte stelle del mondo dello spettacolo americano, inglese e francese, per dimostrare di essere un paese di istituzioni antichissime ma che cammina nel senso dell’Occidente.

L’Arabia Saudita è molto grata e vuole giocare il ruolo antagonista a quello della di Teheran. Le due nazioni si odiano senza risparmio. Teheran fornisce centinaia di migliaia di droni a Putin, il quale ha aperto per loro una nuova grande fabbrica in Russia per colpire meglio l’Ucraina. Dunque è considerata una potenza militare straniera le cui armi azionate dai russi servono per sventrare Kiev. Teheran guida la guerra di Gaza attraverso i suoi più affezionati proxy, gli uomini di Hamas (peraltro festosamente accolti al Cremlino dopo le oscene stragi del 7 ottobre), e costituiscono un fronte di conflitto comune che va dalla Russia alla Cina. Pechino era inizialmente riluttante ma – grazie agli ottimi affari con Mosca, da cui riceve fiumi di petrolio – si sta legando sempre di più, senza però rinunciare al principio secondo cui la Russia non ha titoli legali per invadere l’Ucraina. Cosa che fa comodo ricordare per la simmetria con la situazione di Taiwan, che Pechino rivendica ma che è sostenuta dagli americani.

Non sorprende affatto che il Sud Africa abbia disertato la conferenza, visto che fa parte dei Brics con Brasile, Russia e India formando il fronte della “Resistenza all’Occidente”. Il Sud Africa cerca di coprire le gravi magagne del suo regime capeggiando il fronte antisemita del mondo e non fa specie che non sia interessata come anche il Messico, uscito da difficili elezioni e che deve fronteggiare l’eventualità di un’invasione americana per cacciare i cartelli dei Narcos. Inoltre l’Arabia Saudita è in perenne contatto con la Cina per la situazione del Mar Rosso, dove la navigazione è impedita dai missili iraniani forniti agli Houthi così come agli Hezbollah libanesi. I rumori di guerra accelerano il ritmo perché la guerra è davvero possibile e prossima. Venerdì il Congresso americano ha approvato una legge per rendere immediatamente operativo il draft, ovvero la leva di guerra per i giovani tra i 18 e i 26 anni.

Si potrebbe dire che non emerge ancora nulla dalle nebbie di Burgenstock, e non poteva essere diversamente: è per questo che la conferenza è stata comunque un successo, dal momento che nessuno sognava di far scaturire la pace ma di farne soltanto volteggiare l’immagine. Il modello di stabilizzazione che si cerca per l’Ucraina non somiglia a quello della Seconda guerra mondiale, quando le potenze alleate pretesero la resa incondizionata. Per i conflitti occorre un tipo di pace meglio calcolata. Deve essere giocata su tutti i tavoli, non soltanto sui campi di battaglia, e le voci più convincenti non saranno quelle dei missili ma – se tutto andrà bene – dei modelli di civiltà, commerci ed equilibri che non conosciamo. I giocatori più pericolosi saranno fra loro molto diversi. Iran, Russia, Cina si sono proclamati “Asse della Resistenza”. Resistenza a chi? All’Occidente europeo e americano. Con l’aggiunta di un fronte trasversale rosso-nero di tipo putiniano già visto con i neonazisti tedeschi che rifiutano di incontrare l’ebreo Zelensky ma anche il neoeletto Marco Tarquinio. È arrivato il momento in cui potenze come la Cina sentono il bisogno di mettere in mostra un arsenale scintillante per ragioni di rango ma non di conflitto. Eppure questa guerra alla fine qualcuno la dovrà pur vincere e qualcun altro perdere. Ma non mettendo a rischio l’intera umanità.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.