Per la Nato, il dopo-Stoltenberg ha ufficialmente un nome: Mark Rutte. Il primo ministro olandese, dopo una lunga serie di trattative tra i vari Paesi membri, è il nuovo segretario generale dell’Alleanza atlantica, e assumerà l’incarico dal primo ottobre del 2024. Rimosso l’ultimo ostacolo alla sua nomina, e cioè la volontà del presidente rumeno Klaus Iohannis di tentare una corsa solitaria verso la segreteria atlantica, la posizione di Rutte appariva ormai certa. Da mesi Joe Biden aveva avallato la possibilità che il premier olandese fosse scelto per guidare l’Alleanza (definito ieri dallo stesso presidente Usa “un eccellente segretario generale”). E nel tempo, anche i governi più perplessi rispetto alla sua nomina hanno dato il loro semaforo verde in cambio di accordi politici e sul piano bellico. Togliendo così la Nato da un’impasse pericolosa, visto che il mandato di Jens Stoltenberg era già stato prorogato in assenza di una decisione degli alleati sul leader che avrebbe preso il posto del norvegese. Ora, per Rutte, si aprono definitivamente le porte dell’Alleanza in un coro unanime di consensi. E per l’uomo dei Paesi Bassi, la sfida non sarà certo semplice.

Il momento delicato

Da segretario generale della Nato prende infatti possesso del suo ufficio in uno dei momenti più delicati per il sistema occidentale, con dossier che scottano e che hanno ripercussioni enormi sia sul presente che sul futuro del blocco euroamericano. In primo luogo, Rutte “eredita” la crisi con la Russia, e il divario sempre più ampio tra Mosca e Occidente. La guerra in Ucraina è l’elemento intorno a cui ruota tutta la strategia atlantica, e in questo momento la situazione appare estremamente pericolosa. Volodymyr Zelensky ieri ha tenuto a congratularsi con il premier olandese definendolo un “leader deciso e di principi” (suo l’ok agli F-16). Ma le dichiarazioni del Cremlino sono state altrettanto chiare, con il portavoce Dmitry Peskov che ha detto che “è improbabile” che Rutte in qualità di segretario generale “modifichi la linea ostile dell’alleanza nei confronti della Russia”, aggiungendo che in questo momento la Nato “è per noi un nemico”. Frasi che confermano che da Mosca non ci sono segnali di apertura, tantomeno con la continua pressione militare nei confronti dell’Ucraina, in particolare su Kharkiv, e con gli ultimi attacchi che avrebbero colpito armi statunitensi e “personale straniero” nel territorio del Paese invaso. Una situazione difficile e in continua evoluzione. E mentre la Nato di Stoltenberg (e presto di Rutte) deve gestire anche il flusso di armi e mezzi occidentali diretto a Kiev, e con essi anche la catena logistica, il futuro segretario generale dell’Alleanza dovrà anche osservare con grande attenzione quanto accade al di là dell’oceano, e precisamente a Washington.

Le elezioni negli Stati Uniti e il rapporto con la NATO

Un mese dopo la sua presa di possesso dell’ufficio di capo della Nato, negli Stati Uniti sarà il momento delle elezioni presidenziali. E come dimostrato nel suo precedente mandato, Donald Trump, che sembra essere in lizza per la rielezione, non ha mai manifestato sintonia con l’Alleanza e non ha mai detto di disdegnare l’idea di un accordo tra Vladimir Putin e Zelensky che ponga fine alla guerra. L’arrivo di The Donald alla Casa Bianca può essere un vero e proprio ciclone che si abbatte su una Nato uscita rafforzata proprio dalla guerra in Ucraina. Più solida al suo interno e più ampia grazie all’ingresso di Finlandia e Svezia. E le conseguenze dell’arrivo di Trump a Washington rischiano di essere un enorme punto interrogativo per il blocco occidentale. A maggior ragione se cominceranno a esservi di nuovo quelle divergenze così nitide che avevano contraddistinto il mandato del repubblicano e l’agenda dell’Alleanza atlantica. Biden, in questo senso, sarebbe certamente più rassicurante per Rutte, tanto più che è stato proprio il capo della Casa Bianca a lanciare la sua nomina alla guida della Nato. E adesso bisognerà attendere il voto americano anche per comprendere come eventualmente Rutte si rapporterà con Trump: “commander in chief” della superpotenza occidentale.

Attendere il voto americano

I due si conoscono, e si racconta che fu proprio il premier olandese a salvare il vertice della Nato nel 2018 con Trump che puntò i piedi riguardo il fianco Est e il budget per la difesa dei singoli alleati. All’epoca, Rutte si guadagnò il soprannome di “uomo che sussurrava a Trump”, perché fu lui a convincere il presidente Usa a desistere dalle minacce di paralizzare il summit. E chissà che la nomina di Rutte non sia arrivata anche per far fronte a questo scenario di imprevedibilità. Tra Russia che minaccia, Ucraina, la Nato che vuole proiettarsi anche in Estremo Oriente, un fianco sud (quello del Mediterraneo e dell’Africa) che presenta sempre più fattori di instabilità e di penetrazione cinese e russa, e un elettorato europeo che è apparso sempre meno convinto della linea atlantista, le sfide che dovrà gestire il premier olandese non sono poche. E il voto Usa può essere per Rutte il battesimo del fuoco.