La sceneggiatura è geniale: da una settimana assistiamo allo spettacolo mediatico in cui si annuncia che in Medio Oriente israeliani e Hamas stanno valutando le opzioni per un cessate il fuoco, anzi, stanno proprio per decidere, perché non si aspetta che il verdetto di Hamas affinché arrivi la tregua; e poi – Alleluia – arriva la gioiosa notizia che sì, Hamas ha superato ogni sua perplessità e dunque è pronta a soddisfare tutte le condizioni che le sono state poste.

Le fake news sulla tregua

Ma poste da chi? Manca il soggetto o se preferite manca il convitato di pietra, diventato un convitato fantasma. Quel convitato fantasma è Israele, o meglio è Bibi Netanyahu, che cerca di sopravvivere politicamente usando la guerra come la tela di Penelope. L’importante per Israele è, in questa fase, esistere tenendo un low profile, dare qualche soddisfazione al Presidente Biden ed essere presente alle riunioni dei mediatori che si svolgono al Cairo. Ma Israele non ha detto mai che esistano le condizioni per una tregua. Lo dicono tutti gli altri, ma il governo israeliano, senza mai dire di no si rifiuta a dire sì, e così sia la guerra che la finta pace vanno avanti.

È il “big game” che sta giocando Netanyahu senza fare nulla che possa mettere a rischio la vittoria con la distruzione dei quattro battaglioni trincerati nei tunnel di Rafah. In questo modo cerca di mantenere in piedi la sua coalizione che per ora è nelle mani dei suoi due alleati di estrema destra, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che gli garantiscono quattordici voti ma che sono pronti a far crollare il governo se Netanyahu concederà una tregua ad Hamas che a quel punto si dichiarerà vittorioso per avere costretto Israele ad ammettere l’imbattibilità di coloro che hanno iniziato la guerra con le violenze del 7 ottobre del 2023.

Il “ricatto” interno e il sacrifico degli ostaggi

Gadi Eisenkot, membro del gabinetto di guerra, ha accusato Ben-Gvir e Bezalel Smotrich di ricattare Netanyahu per costringerlo a rinunciare alla liberazione degli ostaggi, cosa che la maggioranza dei cittadini israeliani chiedono da mesi. Se il governo dovesse cadere si andrebbe alle elezioni e sarebbe la fine politica per Netanyahu. Questa è la partita interna, che richiede scaltrezza machiavellica e per Netanyahu più tempo e spazio di manovra. Il suo scopo è evitare le elezioni, continuare la guerra senza mai scegliere tra le due priorità: sterminare Hamas o riportare a casa i sopravvissuti ostaggi che dal 7 ottobre scorso vivono ai confini della morte.

I quattro battaglioni di Hamas

I quattro battaglioni residui di Hamas si trovano negli enormi sotterranei di Rafah in cui hanno accumulato munizioni e generi di sussistenza per prepararsi a un lungo assedio. Netanyahu si muove comportandosi in modo accettabile con gli abitanti di Gaza cui offre percorsi protetti, accampamenti ospitali ma senza rinunciare all’obiettivo irrinunciabile: distruggere tutti gli uomini di Hamas e costringere il Qatar a cacciare coloro che vivono liberamente sul suo territorio per poterli eliminare ad uno ad uno. Quanto agli ostaggi Netanyahu trasforma il cinismo in necessità dichiarando che farà di tutto per riportare a casa quelli che sono ancora vivi dopo la fase decisiva dell’assedio. Come dire: tutti gli altri moriranno o per inedia o giustiziati dai loro carcerieri. Il gioco è scoperto e tutti lo conoscono, ma al tempo stesso stanno al gioco che regala tempo finché c’è tempo e vita finché c’è vita.

La priorità di Netanyahu

Biden potrebbe trarre vantaggio da questa lentezza per ottenere una soddisfazione morale da spendere nella sua campagna elettorale per la Casa Bianca. E Netanyahu riguadagnerebbe qualche punto nella classifica dei cattivi sul tabellone dei media facendo defluire i civili in maniera possibilmente umanamente accettabile. Tutto ciò allontana il momento dell’attacco decisivo che potrebbe provocare la scomparsa di Hamas e questa lentezza spiegherebbe la pantomima cui da molti giorni il mondo assiste attendendo l’accordo sul cessate il fuoco. Il negoziatore israeliano Daniel Levy, citato dal New York Times dice: “Netanyahu non ha nessuna fretta di finire la guerra, non gliene importa nulla di un accordo per il cessate il fuoco che metterebbe a repentaglio la sua coalizione e anche la sua capacità di continuare la guerra dopo una pausa. Vuole tirarla per le lunghe per rinviare la fine delle operazioni militari, anche la sua stessa fine di ex primo ministro che rischia molti processi penali e persino l’arresto”.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.