Leo Perutz fu un grandissimo scrittore e fa bene dunque Adelphi a ripubblicare “La Terza pallottola” (traduzione di Margherita Belardetti), esempio di una letteratura complessa, fantastica, bellissima. Perutz, praghese, molto tempo passato nella Vienna degli anni Venti, poi emigrato in Palestina, di nuovo in Austria fini alla morte (1957), fu idolatrato da colleghi come Robert Musil («Leo Perutz è poesia giornalistica»), Bertolt Brecht e soprattutto da Borges, con il quale condivide un certo gusto dell’avventura come sogno, se possiamo dire così.

Dunque ne “La terza pallottola” la scena è quella dell’assedio spagnolo di Tenochtitlán, e protagonista è Franz Grumbach, wildgravio tedesco bandito da Carlo V per la sua fede luterana e rifugiatosi nel Nuovo Mondo, dove ora – obbediente ai suoi nobili ideali – combatte i conquistadores al fianco degli indios. Ecco il Nuovo mondo, dove «tante sono le bizzarrie, nelle foreste e in ogni dove, che non si fa più caso all’eccentricità dell’animo umano, quali rabbia, brama di vendetta ed eresia, qui tenute in poco conto». Il romanzo procede così di avventura in avventura, «nella legge crepuscolare del ricordo, in cui le cose viste con i miei occhi e quelle raccontatemi da altri si confondono, nel giardino inselvatichito del tempo». È un incessante gioco di battaglie mortali raccontate con finissima maestria. Per staccarsi dal mondo, Leo Perutz ci vuole.