La Generazione Z, quella dei nati tra il 1997 e il 2012, quella che oggi si affaccia al cosiddetto mondo del lavoro, è la prima generazione nativa digitale, la prima cioè a non aver conosciuto un mondo senza tecnologie. È nata e vive in un “ecosistema digitale” nel quale la vita online e quella offline si confondono fino ad amalgamarsi e ciò influisce sulla loro quotidianità.

Questione di organizzazione

Soprattutto influisce su due dei pilastri dell’organizzazione capitalistica del mondo per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli e, pensavamo, stabilizzato dalla caduta del muro di Berlino: sui consumi e, soprattutto, sulle aspettative nei confronti del lavoro. Dalla prima rivoluzione industriale in poi, in effetti, l’organizzazione del mondo del lavoro ha scandito come un orologio l’organizzazione della vita delle persone: 8 ore per lavorare, 8 ore per riposare, 8 ore per il tempo libero – non senza sanguinose lotte per ottenere questo minimo sindacale di diritti – in un ritmo circadiano che ritenevamo, al pari della fine della storia di Fukuyama, la fine di ogni velleità di organizzare la vita in maniera diversa, la fine della libertà insomma. Il lavoro nobilita l’uomo, si, ma solo quando si ha la fortuna di incontrarlo e se si accettano le regole del lavoro fordista, ripetitivo e meccanico. Dagli uffici pubblici al settore privato, tranne i pochi che raggiungono posizioni tali da non dover rispondere più a nessuno, tutti sono organizzati in una scala gerarchica, ben definita, nella quale si cede un po’ della propria libertà in cambio della sicurezza del salario.

I diritti individuali

Accettabile vero? Così pensavamo. Finché non è arrivata la GenZ. Una generazione multiculturale, politicamente schierata sui diritti individuali e le libertà personali più che su ogni altra cosa e con un approccio al lavoro completamente diverso: aperti a considerare fin da subito le prospettive di una carriera in ottica globale, più attenti agli aspetti della soddisfazione personale e alle opportunità di crescita rispetto alla retribuzioni, vocati alla speranza della settimana lavorativa corta e alla libertà dello smartworking rispetto alla tranquillità cadenzata delle 48 ore a settimana e dell’ufficio – sempre quello per tutta la vita – e delle ferie pagate ma utilizzabili solo in base all’organizzazione degli altri. Le professioni più richieste nel 2024, in un rapporto del World Economic Forum, che evidenzia come quasi un quarto dei posti di lavoro (il 23 per cento) cambierà entro il 2027, saranno: specialisti in machine learning e intelligenza artificiale, specialisti della sostenibilità, analisti di business intelligence, specialisti in cybersecurity, ingegneri fintech, data scientist, specialisti in ingegneria robotica, ingegneri elettrici e elettronici, operatori agricoli, specialisti in trasformazione digitale. Nomi complessi di professioni, però, molto concrete in cui collocarsi dopo un periodo di formazione tra i più trasversali mai visti da quando esiste la parola lavoro.

Il tentativo

A Cosenza, in Calabria la nuova amministrazione comunale, nei limiti delle competenze sue proprie, che in materia di lavoro sono ben poche, ha sentito il dovere e sta cercando di dare una risposta a questa domanda di nuovi lavori della GenZ e lo sta facendo in due modi: da una parte cercando di attirare nuove figure professionali all’interno dell’organizzazione amministrativa dell’ente, dall’altra finanziando idee “ribelli” dall’iniziativa imprenditoriale privata in città.
Sciamani della burocrazia, apparecchiatori di piazze, capitani di futuri sostenibili, agitatori di comunità sono i nomi evocativi di figure che dovrebbero fare da tramite tra la burocrazia, spesso troppo ingessata e la cittadinanza attiva che sente il bisogno di partecipare alla progettazione dei luoghi e degli eventi che coinvolgono la propria comunità. Figure, purtroppo, impossibili da indicare in questi termini con un avviso pubblico o manifestazione d’interesse ma sicuramente reperibili attraverso una disamina delle competenze trasversali e il vissuto personale, oggi sempre più presenti in calce ai curriculum vitae della GenZ, che poi rispondono ai nomi di architetti, ingegneri, assistenti sociali, nomi che la legge prevede e consente per darti un futuro nella PA. Sei il tuo lavoro, insomma. O almeno così è sempre stato.

L’esempio

Grazie a questo contributo professionale nuovo, il Comune di Cosenza ha potuto co-progettare, assieme ai portatori di interesse locali, una strategia per la città sostenibile dal nome Agenda Urbana, finanziata attraverso i fondi di coesione, quelli per le regioni europee più economicamente deboli e che è passata attraverso il Dipartimento Programmazione della Regione Calabria e che oggi, a Cosenza, consta di 11 nuove opere pubbliche realizzate, 12 imprese e 19 enti del terzo settore finanziate dal “pubblico”. Tra queste 11 opere pubbliche, 3 sono poli culturali rigenerati nel centro storico della città, la Casa delle Culture, il Cinema Teatro Aroldo Tieri e il LabOratorio di San Gaetano, che offrono, tra le altre cose, spazi di coworking dedicati proprio ai nomadi digitali: artisti, influencer, designer ma anche lavoratori in smart working e studenti che possono decidere di lavorare fuori dall’ufficio, fuori dalla città dove ha sede la propria azienda oppure mentre decidono di visitare o passare un periodo della loro vita nella nostra città.

Nuove competenze

Non solo, i nuovi lavori hanno bisogno di una formazione adeguata e di nuove competenze, soprattutto in campo digitale. Pertanto, tra le 12 imprese finanziate, l’ente ha sostenuto quelle che offrissero tale formazione, assieme all’occasione di sperimentarla sul campo. Tra questi progetti realizzati troviamo, per esempio, un Innovation Business Hub che è sia accademia di formazione che piattaforma digitale nel campo del turismo e della cultura, un’agenzia di promozione nel campo della rigenerazione urbana, un laboratorio per la formazione in campo audio-video e masterclass di cinema. Soprattutto, un Cultural Hub dell’area urbana dal nome COSMO – Cosenza microMondi, che ha il compito di tenere insieme, coordinare le relazioni e facilitare il realizzarsi di tutto questo entusiasmante nuovo ecosistema. Come lo fa? Attraverso un team di nuovi lavoratori: research team leader, digital artist, strategist, consultant, fotografi e community activator.

L’esempio della PA

Siamo fiduciosi che l’esempio di Cosenza possa fare da apripista in Regioni come la Calabria, territori nei quali è più facile rimanere o ritornare a vivere e lavorare proprio se si è una delle nuove lavoratrici e dei nuovi lavoratori di questo nuovo mondo del lavoro. Un mondo senza confini reali o digitali, un mondo in cui la P.A. possa fare da esempio – e questa possibilità è ancor più vera nell’impostazione del Pnrr – e essere di aiuto nella formazione, nella ricerca, nella creazione delle occasioni di lavoro e dei luoghi di lavoro della prossima generazione di lavoratori che è già qui e che probabilmente starà già “inventando” lavori ancor più nuovi e ancora sconosciuti anche a chi scrive e che, essendo un millennial, è già di una generazione passata.

Francesco Alimena

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