L’autonomia differenziata come opportunità per il Sud, che ora non ha più scuse e deve rendersi protagonista del suo rilancio. È questa la convinzione del professor Nicola Rossi, secondo cui il ddl Calderoli approvato in via definitiva dalla Camera non sarà il colpo di grazia per il Mezzogiorno. Anzi, per il consigliere di amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni tutto ciò si traduce in un «margine di libertà addizionale» che non si può cestinare. Rossi non vede alcun imminente pericolo né sul fronte della sanità né sulla spaccatura tra Nord e Sud: dal suo punto di vista è «difficile fare peggio» rispetto alle «sciagurate politiche regionali» degli ultimi 30 anni. Il suo monito è rivolto proprio a molti governatori meridionali, a cui imputa grandi responsabilità per il contesto di crisi in cui oggi versa il Mezzogiorno. Una strada da percorrere potrebbe essere quella della Macroregione, riunendo il Sud in un’unica entità «per prendere decisioni anche difficili». Il professore non rinuncia infine a un rimprovero nei confronti dell’opposizione, accusata di portare avanti una strategia politica «vuota di contenuti».

Professore, l’autonomia differenziata è il colpo di grazia per il Sud?
«Perché mai dovrebbe esserlo? È un margine di libertà in più attribuito alle Regioni. Posta in questi termini, è difficile considerarlo un colpo di grazia per qualcuno. Mi lascia piuttosto stupito l’idea che qualcuno possa rifiutare un margine di libertà addizionale. Addirittura pretendere di negarlo a chi vuole utilizzarlo mi lascia ancora più incredulo».

Anche perché non si tratterà di un automatismo, visto che saranno le Regioni eventualmente a chiedere di gestire in autonomia determinate materie che invece oggi sono sotto il controllo dello Stato.
«Certo, sono le Regioni – dopo una lunga trattativa con il governo – a ottenere o meno una serie di competenze e le risorse connesse. Ho difficoltà a immaginare che sia la secessione dei ricchi, come è stato detto. Se secessione sarà, sarà la secessione degli efficienti».

Il Mezzogiorno sarà capace di dimostrare di saper governare se stesso?
«Questo è il vero punto. Potrebbe non esserlo. Infatti il Sud dovrebbe chiedere di poter esercitare questa addizionale autonomia in tutte le direzioni. Ci sono Regioni visibilmente incapaci di esercitare le loro competenze, alcune hanno avuto la loro sanità commissariata per anni e chi ancora oggi. Quelle Regioni dovrebbero rinunciare a quelle competenze o essere invitate a farlo. Purtroppo mi sembra che questo aspetto sia carente nella legge appena approvata».

La frattura strutturale tra Nord e Sud comunque è oggettiva. Così non si rischia di spaccare definitivamente in due l’Italia e di rendere incolmabile il divario?
«Il divario tra Nord e Sud è in vita da oltre 150 anni. Si è ristretto brevemente solo durante gli anni del Miracolo economico, poi si è via via ampliato quando sono state messe in campo le sciagurate politiche regionali degli ultimi trent’anni. È difficile fare peggio di quello che abbiamo fatto».

Non teme che venga cancellato il diritto alla salute? Il Sistema Sanitario Nazionale già oggi deve fare i conti con liste di attesa infinite, carenze di personale, sottofinanziamenti…
«Una legge di questo genere ha bisogno di un corredo di analisi, risorse e cautele che mi aspetto prendano corpo nelle trattative tra Stato e Regioni. Bisogna che i LEA (Livelli essenziali di assistenza, ndr) e i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni, ndr) siano effettivamente tali e garantiti su tutto il territorio nazionale. Qui viene il vero punto dolente della norma, che non è il diverso trattamento che attribuiamo alle Regioni: tutte le volte che abbiamo garantito un maggior decentramento, a pagarne le conseguenze è stato il bilancio pubblico. Come cittadino non apprezzerei se tutto ciò si dovesse tradurre in maggiori imposte a mio carico. Vorrei essere matematicamente certo che quando vengono trasferite le risorse dal centro a qualunque Regione non siano duplicate».

Uno degli effetti dell’autonomia sarà una maggiore responsabilizzazione della classe politica. Ora i presidenti di Regione non avranno più scuse. C’è qualcuno che ha interesse nel cavalcare la polemica in maniera strumentale per mantenere lo status quo?
«I presidenti di Regione scuse già non ne avevano. Il problema vero è nato quando abbiamo fatto lo pseudo-federalismo, del 2001, per motivi puramente elettorali. Qui ci sono responsabilità, che non vanno trovate nell’attuale maggioranza. Abbiamo attribuito alle Regioni competenze e non responsabilità. I cittadini dovrebbero sapere, quando votano, a chi hanno pagato le tasse ed esattamente per cosa. Purtroppo siamo ancora molto lontani da questo. Fra tutti, i presidenti delle Regioni meridionali hanno forse le maggiori responsabilità».

Da tempo si parla della Macroregione al Sud come modello per attuare la coesione territoriale. Sul piano contrattuale cosa potrebbe cambiare in tema di autonomia differenziata?
«Sarebbe un’idea molto ragionevole. Siccome in larga parte i problemi del Mezzogiorno sono sovraregionali, sarebbe del tutto sensato che il Sud fosse riunito in un’unica entità per prendere decisioni anche difficili. Quando, anni fa, si è cercato di coordinare l’attività delle Regioni meridionali in tema di turismo l’esito è stata la classica spartizione. Ma è possibile avere tanti poli turistici quante sono le regioni del Mezzogiorno? Temo proprio di no».

L’opposizione si sta già mobilitando per un referendum abrogativo. È una reazione necessaria o una mossa propagandistica?
«Né l’una né l’altra, non so come inquadrarla. A me sembra che stiano seguendo un copione. Ho difficoltà a ricordare una proposta dell’opposizione che esprima una qualche idea sulla questione del Mezzogiorno. L’opposizione ha fatto proprie, da 30 anni, le fallimentari follie di quella che allora si chiamava Nuova Programmazione. E ora non ha altra strada se non quella di fare un’opposizione purtroppo vuota di contenuti».