Nika Shakarami sognava la libertà, aveva solo 16 anni, amava cantare e ballare e quel tragico 20 settembre 2022 si era unita alle manifestazioni esplose subito dopo l’uccisione a Teheran della giovane curda Jîna (Mahsa Amini) per mano della polizia morale. Ora è ufficiale: non si è suicidata come volevano far credere i guardiani della rivoluzione islamica (IRGC) ma è stata massacrata dalle milizie di Khamenei, picchiata e stuprata in un furgone frigo da tre agenti pasdaran che hanno abusato di lei senza pietà fino ad ammazzarla per poi scaricarla giù dal furgone accanto a un cassonetto dell’immondizia. Ritrovata dopo dieci giorni con il naso fracassato e il cranio fratturato per i colpi inflitti dai quei pasdaran che l’Unione europea si rifiuta di riconoscere come una organizzazione terroristica.

Nika e il velo in fiamme

Nika Shakarami quel tragico 20 settembre era a capo scoperto, in piedi su un cassonetto mentre mostrava il suo velo in fiamme. In quei giorni nelle piazze di Teheran giovani donne danzavano tenendosi per mano attorno ai falò dove bruciavano i loro hijab, cantando le canzoni della libertà e gridando slogan contro la Repubblica islamica. Nonostante la feroce repressione da parte delle forze basij, tuttora, ragazze e ragazzi, escono fuori dalle loro case per ballare in girotondo attorno al fuoco. Il fuoco, ancestrale retaggio della cultura iranica, rappresenta per la popolazione (in particolare quella curda) la vittoria degli oppressi sugli oppressori. Un’antica leggenda persiana narra infatti di un re orco che aveva ridotto il popolo in schiavitù e miseria, senza mai saziarsi della sua brama di ricchezza e di potere. In un giorno infausto il re pretese dai suoi sudditi i loro figli per cibarsene.

Insubordinazione nel Corpo delle guardie rivoluzionarie

Oggi è il regime iraniano che uccide i propri figli, anche gli adolescenti, e la rivoluzione è per questo dilagata. Nika, appena sedicenne, quel giorno era scomparsa nel nulla. Aveva detto a un’amica che era inseguita dalla polizia. Dopo dieci giorni dalla sua scomparsa la famiglia si è vista consegnare dalle autorità il corpo della ragazza con le ossa rotte. Un documento segreto, fatto trapelare alla BBC dagli stessi pasdaran, rivela gli abusi che le forze di sicurezza iraniane hanno compiuto sull’adolescente. Nika è stata aggredita sessualmente e uccisa da tre agenti delle forze di sicurezza iraniane. La brutale violenza perpetrata su giovani manifestanti a mani nude ha aperto crepe all’interno delle forze del regime. Sono diversi i casi segnalati di insubordinazione, di fughe di membri del Corpo delle guardie rivoluzionarie e delle basij che questa volta hanno fatto trapelare anche rapporti segreti sul comportamento brutale dei paramilitari basij del Corpo delle guardie rivoluzionarie. Contrassegnato come “altamente confidenziale”, il rapporto riassume un’udienza sul caso di Nika tenuta dai guardiani della rivoluzione e include anche i nomi di suoi assassini e di comandanti anziani che hanno cercato di nascondere la verità. Il rapporto diffuso dalla BBC contiene dettagli inquietanti di eventi avvenuti nel retro di un furgone frigo simile a quello della società di gelati Mihan, utilizzato dalle forze della repressione come mezzo di copertura per rapire i manifestanti e torturarli.

Picchiata, stuprata e scaricata giù dal furgone

Nika era ammanettata con le mani dietro la schiena. Uno degli agenti ha incominciato a molestarla, prima sedendosi su di lei e poi abbassandosi i pantaloni. La ragazza, ammanettata e immobilizzata, ha reagito scalciando e imprecando. Uno degli uomini ha dunque incominciato a picchiarla con un manganello ed è stata imbavagliata e poi stuprata senza pietà fino ad ammazzarla per poi scaricarla giù dal furgone in una strada tranquilla sotto l’autostrada Yadegar-e-Emam di Teheran. Mentre era sanguinante, ancora in vita, l’agente caposquadra, Morteza Jalil, era con l’autista in cerca di un ricovero dove portarla. Hanno provato ad abbandonarla in un campo temporaneo della polizia, ma sono stati respinti perché il campo era sovraffollato. Quindi hanno proseguito verso un centro di detenzione, ma poi hanno cambiato idea. Morteza Jalil ha contattato il quartier generale dei pasdaran per un consiglio e gli è stato detto di recarsi nella famigerata prigione di Evin a Teheran. Ma vi hanno dovuto rinunciare perché Nika stava morendo e hanno dunque deciso di liberarsene. Lo stupro è un’arma di guerra utilizzata sistematicamente dai guardiani della rivoluzione contro le donne. Sono queste le stesse guardie rivoluzionarie islamiche che hanno sponsorizzato e addestrato Hamas a stuprare le donne come è avvenuto nel pogrom del 7 ottobre 2023 nei kibbutz israeliani.

Stupro arma di guerra

Le sofferenze per i genitori della povera ragazza non sono finite qui. Il giorno prima della sua sepoltura, il corpo di Nika fu trafugato dall’obitorio di Kahrizak. La giovane sarebbe dovuta essere seppellita nel cimitero della città natale di Khorramabad, nella provincia del Lorestan abitata prevalentemente dalla popolazione Lur e curda, ma i servizi segreti dei Guardiani della rivoluzione islamica per impedire che il luogo di sepoltura diventasse meta di pellegrinaggio dei giovani in rivolta, come avvenne per Jîna, trasferirono la sua salma nel cimitero di un piccolo villaggio di Hayat ol Gheyb, a 40 km dalla sua città natale per evitare che un affollato corteo funebre potesse innescare ulteriori proteste. Le forze di sicurezza verbalizzarono che la ragazza si era suicidata lanciandosi nel vuoto da una finestra di un’abitazione in cui si era rifugiata e hanno tentato di costringere alcuni membri della sua famiglia a sostenere questa narrazione del tutto inverosimile. È noto che le autorità iraniane costringono i familiari a dichiarare il falso, cioè che i loro congiunti sono morti o per malattia, o per cause accidentali o perché si sarebbero suicidati. Il regime sequestra i corpi dei manifestanti uccisi e per la restituzione chiede ai familiari un riscatto per metterli a tacere: cioè chiede una confessione pubblica che smentisca la voce di un decesso del loro congiunto per mano dello Stato, comportamenti e organizzazione, questi, di tipo mafioso. Secondo le risultanze dell’autopsia la morte di Nika è stata provocata da un trauma cranico dovuto ai ripetuti colpi di un corpo contundente.

Nika Shakarami era diventata così un nuovo volto della rivoluzione in corso in Iran per la liberazione del paese dalla Repubblica islamica. Il suo volto di adolescente dolce e ribelle è apparso nei graffiti disegnati sui muri delle città iraniane. Nika lavorava in un bar, era la secondogenita della famiglia e viveva con sua zia a Teheran dove si era trasferita dopo la morte di suo padre. La morte della giovane curda-iraniana, Mahsa Amini, aveva segnato nel profondo la giovane adolescente, ragion per cui aveva deciso di unirsi alle ragazze che si ribellavano all’apartheid di genere e quel giorno infausto del 20 settembre era uscita di casa intorno alle ore 13 per prendere parte a una manifestazione di protesta sul Keshavarz Boulevard di Teheran. Aveva portato con sé una bottiglia d’acqua e un asciugamano per proteggersi dai gas lacrimogeni. Aveva detto alla zia che sarebbe andata a trovare sua sorella. Era salita su un palco improvvisato e, spavalda, piena di energia e di voglia di libertà, aveva brandito un microfono facendo sfoggio delle sue qualità canore. Quella notte del 20 settembre, i suoi account Telegram e Instagram erano stati cancellati e il suo telefono era spento.

Il procuratore di Teheran glielo aveva sequestrato e le autorità avevano avuto accesso a messaggi diretti del suo account Instagram. La CNN pubblicò alcuni filmati delle ultime ore di Nika Shakarami durante le proteste. In un video si vede la ragazza mentre cerca di nascondersi dietro le auto ferme nel traffico di Teheran perché inseguita da agenti della polizia. La si vede mentre chiede a un uomo alla guida di una vettura di proteggerla gridando: “Non muoverti, non muoverti, ti prego!”. Un testimone col suo cellulare aveva ripreso la scena in cui si vedeva Nika mentre veniva arrestata e caricata su un furgone della polizia. Sulla lapide di Nika è incisa una poesia: “Ti ha partorito con sangue e dolore, ti ha restituito alla madrepatria”. In questi versi la famiglia riconosce in Nika non una ragazza che si sarebbe suicidata, ma una martire per la libertà della sua patria. Nel 40° giorno dalla sua morte, momento in cui secondo il rito islamico si interrompe il lutto, una grande folla si radunò presso il suo sepolcro cantando gli slogan delle proteste e una vecchia famosa canzone in luri, nella lingua madre di Nika: “Oh madre, madre, è ora di combattere!”.