Le nomine ai vertici delle partecipate dipendono da un disaccordo politico tra Meloni e Salvini, e corrono a due velocità. Da un lato, è arrivato nel pomeriggio di ieri il via libera per i vertici di Ferrovie dello Stato, dove sono state rispettate le previsioni della vigilia: sarà infatti Tommaso Tanzilli il nuovo presidente, attuale consigliere in quota FdI, mentre a Stefano Donnarumma – indicato da Salvini ma con il beneplacito di palazzo Chigi – va il ruolo di amministratore delegato. Forza Italia avrebbe così fatto un passo indietro dalle richieste di presidenza di Fs per concentrarsi sulla Rai dove, pare, farà il nome di Simona Agnes. Indicazione rafforzata anche dall’intenzione di viale Mazzini di non accogliere la richiesta della Lega di mettere la bandierina del Carroccio sulla poltrona da vice dell’ad in quota FdI, Giampaolo Rossi.

Dall’altro c’è invece da registrare il rinvio del cda di Cassa depositi e prestiti. L’indecisione, chiamiamola così – come avvenne l’anno scorso per i rinnovi alla guida di Eni, Enel, Poste e Terna – prende forma all’interno della maggioranza. Nello specifico in quel rapporto tra la presidente Giorgia Meloni e il suo vice Matteo Salvini. Il pomo della discordia sarebbe da tempo ben in vista sul tavolo dove si cerca di arrivare ad una quadra dopo che la premier ha puntato i piedi per nominare uno dei suoi consiglieri all’interno del consiglio di amministrazione di Cdp. Ma il nodo sono le nomine che spettano al Tesoro, mentre le Fondazioni azioniste hanno già fatto il nome di Giovanni Gorno Tempini che intende confermare l’amministratore delegato Dario Scannapieco.

La richiesta di Meloni non avrebbe trovato il favore della Lega. Di qui il rinvio dell’assemblea che, informa Cassa, è al prossimo 2 luglio. Pochi giorni fa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva detto che “con tranquillità andremo a rinnovo delle cariche” e “non ci saranno stravolgimenti”. Al contrario ieri è arrivata un’ennesima fumata nera. L’origine delle tensioni tra Meloni e Salvini potrebbe però avere origini più lontane, che risalgono al parere negativo del governo al provvedimento che prevede la proroga fino a fine 2024 per quanto riguarda il mercato tutelato dell’energia. Battaglia che il Carroccio si è intestata, e a cui hanno aderito anche Pd e M5s.