Come da copione, le elezioni in Italia si continua a vincerle al centro. Perché in Italia non soltanto, e storicamente, si governa “dal centro” e “al centro”, ma vince le elezioni la coalizione che riesce a intercettare e a rappresentare quella fetta di opinione pubblica che si riconosce nella tradizionale “politica di centro”. Che, detto tra di noi, è stata sempre l’arma politica decisiva e qualificante della lunga e ricca esperienza della Democrazia Cristiana. Ora, dopo il consolidamento politico ed elettorale del centrodestra, si è aperta nel campo variegato e complesso della sinistra la necessità di sfondare al centro per cercare di poter competere con la coalizione guidata da Giorgia Meloni in vista delle prossime consultazioni. Locali e nazionali.

Una nuova e inedita Margherita

Un’operazione alquanto difficile perché il blocco sociale (che è composto dalla sinistra radicale e massimalista della Schlein, dalla sinistra estremista di Fratoianni, Bonelli e Salis e dal populismo dei 5 Stelle) non contempla affatto la presenza politica e culturale di un centro riformista, plurale e di governo. E, dopo il clamoroso e forse definitivo e irreversibile fallimento politico del duo Renzi/Calenda, qua e là si ricomincia a parlare della necessità di una nuova ed inedita Margherita. Se non vogliamo essere confusi e anche un po’ ridicoli, non possiamo non dire che una nuova e rinnovata Margherita non può essere panificata a tavolino dalla segreteria del Pd. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare: la Margherita di Rutelli e di Marini nacque in competizione con i DS, seppur alleati in una coalizione di centrosinistra.

L’esatto opposto

Dopodiché è nato il progetto del Pd, cioè di un partito di centrosinistra che vedeva la confluenza nello stesso soggetto politico proprio dei Ds e della Margherita. È appena sufficiente ricordare questo aspetto per arrivare alla semplice conclusione che oggi, nell’attuale contesto politico italiano, parlare di una “nuova Margherita” è addirittura blasfemo. E, del resto, non sarebbe affatto compatibile con il nuovo corso politico e culturale del Pd. Perché l’unica operazione che può eventualmente decollare da quelle parti, ammesso che sia possibile, è la costruzione a tavolino del cosiddetto “partito contadino” pianificato dal Nazareno e guidato da un “cattolico adulto” che cerca di portare un piccolo contributo politico ed elettorale al blocco sociale di Schlein, Fratoianni/Bonelli e Conte. Insomma, l’esatta alternativa e l’esatto opposto di quello che ha rappresentato storicamente e politicamente il partito di Rutelli e di Marini.

Centro riformista

Ecco perché la discussione sul centro riformista, plurale, democratico e di governo non può essere astratta o, peggio ancora, viziata da un errore di fondo. E questo anche perché il nuovo corso politico del principale partito della sinistra italiana, cioè il Pd guidato da Elly Schlein, non prevede affatto – e in perfetta coerenza con il suo progetto – la costruzione di un centro autonomo, seppur alleato con gli ex e i post comunisti. Un centro che, inesorabilmente, entrerebbe in contraddizione con la strategia e soprattutto con il profilo della coalizione alternativa al centrodestra. Prima o poi quindi – e sempre per restare sul terreno della coerenza e del realismo, senza divagare nel campo delle illusioni e delle invenzioni – occorrerà prendere atto che la “cultura e la politica di centro” sono strutturalmente incompatibili con una coalizione incentrata esclusivamente sulla sinistra e su tutto ciò che è riconducibile a quell’universo valoriale, politico e culturale. Per coerenza e non per calcoli politici.