È un lampo, un fulmine a ciel sereno. Alessandro Sallusti si dimette dopo 12 anni dalla direzione de Il Giornale. Tutti vissuti pericolosamente. Tra condanne (poi commutate) per qualche bisticcio con l’allora Presidente Napolitano, multe e sanzioni, Sallusti non s’è mai annoiato. Per un articolo sul giudice Cocilovo il 21 marzo 2013 venne anche sospeso per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Il suo ufficio in redazione è un campo di battaglia.

Il flash di agenzia con le dimissioni gela il mondo del giornalismo, sorprende la politica, agita le televisioni. Che è successo? Non lo sa nessuno. E non lo sanno soprattutto i giornalisti del Giornale. «Non ne sappiamo davvero niente. Abbiamo letto adesso», ci rispondono Nicola Porro, Laura Cesaretti, Vittorio Macioce. Qualcuno tra loro non ci crede. «Non abbiamo avuto conferma», dicono prendendo tempo. Sulle chat interne circolano tutte le ipotesi possibili. Ma è alla porta di Tosinvest che, apprende il Riformista, bisogna bussare. La Tosinvest, finanziaria del Gruppo Angelucci, è proprietaria della testata Libero quotidiano e azionista di controllo del Gruppo Corriere, del Tempo srl e della Tms Edizioni.

Alessandro Sallusti – già ai ferri corti con la proprietà del Giornale per questioni contrattuali – avrebbe accettato una offerta irripetibile: fare il super direttore di Libero e del Tempo, unendo le due realtà sotto un’unica cabina di regia. Un esperimento senza precedenti che rilancia il quotidiano romano, evidentemente non decollato come auspicato sotto la guida di Franco Bechis: la nuova syndacation dovrà fare da contraltare a quella del gruppo Gedi, tra Repubblica e Stampa. Sarebbe un accordo win/win che ha messo tutti d’accordo: Vittorio Feltri, Pietro Senaldi e lo stesso Bechis. «Un grande progetto di rilancio», anticipa una fonte interna. Se c’è chi festeggia, non tutti l’hanno presa bene. Al momento di andare in stampa, ai giornalisti del Giornale non sono ancora state ufficialmente comunicate le dimissioni di Sallusti e il Cdr rende pubblico un comunicato dal malcelato imbarazzo.

«Per non farci mancare niente siamo alle prese con le possibili dimissioni del direttore Alessandro Sallusti. La situazione alle 17.20 per quanto ne abbiamo saputo è la seguente: la notizia data da Dagospia (come quella del covid di Sallusti, se ricordate) non è al momento stata confermata né dal direttore , né dall’ad della See Andrea Favari». «Come cdr – scrivono – quello che stiamo facendo è chiamare i diretti interessati e, al momento, Sallusti non ha risposto al cellulare, mentre Favari, intercettato in sede, non ha voluto commentare. All’interno della redazione anche i nostri colleghi che più sono vicini a Sallusti non hanno alcuna informazione, né ci hanno riferito di segnali di questi ultimi giorni. Noi stessi del cdr abbiamo visto il direttore giovedì scorso e non avremmo scommesso un centesimo su una cosa di questo tipo». «Per quanto riguarda le indiscrezioni, in rete ce ne sono quante volete. Il nostro compito resta quello di insistere per avere informazioni verificate e vi terremo informati non appena le avremo», concludono i giornalisti.

Un caporedattore allarga le braccia: «Siamo caduti dalle nuvole. Stiamo facendo il giornale in autogestione». Fotogrammi che immortalano una giornata di passaggio forse tra due epoche: dodici anni sono una buona parte della vita professionale di un giornalista. Sono stati i dodici anni in cui Silvio Berlusconi ha compiuto la sua parabola politica, colpito da quella giudiziaria. La proprietà – la famiglia Berlusconi lo detiene dal 1977, Paolo Berlusconi dal 1992 – ha seguito Il Giornale spesso con posizioni distinte, tenendo fede ad un patto di reciproco rispetto. L’investimento sulla See, società editrice della testata, fu il primo che vide Berlusconi uscire dall’ambito edilizio: nel 1977, realizzando profitti dalle vendite di Milano 2, entrò nella See con una quota del 12%. Nel 1979 aumentò la sua quota al 37,5%, diventando azionista di maggioranza. E Il Giornale seguì passo passo il Cavaliere nella parabola politica, spesso mettendoci il carico da novanta.

Questo improvviso addio di Sallusti segue di pochi giorni quella cerimonia di riconoscenza che fonti riservate raccontano al Riformista: Silvio Berlusconi lo scorso fine settimana avrebbe convocato ad Arcore diversi fedelissimi per fare loro dei regali importanti, opere d’arte e ricordi preziosi di viaggi e visite di Stato. Quasi testimoniando la fine di un’epoca, ieri il direttore da sempre esegeta del pensiero autentico berlusconiano, lascia il nido e vola verso nuove avventure. «Si candiderà a Sindaco di Milano, vedrete», dicono quasi sperandolo in Forza Italia all’ombra del Duomo. «Si prende una pausa per scrivere un altro libro con Palamara», ipotizza un conduttore televisivo. Il successo del Sistema è già nella storia dell’editoria, d’altronde. Sallusti invece si appresta a ricominciare il suo lavoro di sempre, andando a dirigere il gruppo dei quotidiani degli Angelucci, un riferimento solido per i lettori di centrodestra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.