Quando un giudice trattiene per mesi, come è capitato nel caso del governatore ligure Giovanni Toti, un fascicolo processuale, per poi decidere con un provvedimento di custodia cautelare, è doveroso domandarsi il perché e anche se l’arresto fosse necessario. Ma il gip non ha, secondo la legge, un vincolo temporale. Il soggetto che è invece obbligato a non oltrepassare il termine di sei mesi, più sei di proroga, per la conclusione delle indagini, è il pubblico ministero. Ed è nei suoi uffici, prima ancora di quelli del giudice, che è sempre bene mettere il naso. Perché quel sei più sei, soprattutto nelle inchieste che riguardano i politici o i pubblici amministratori, è costantemente violato.

Prima di tutto sulla data dell’iscrizione della persona nel registro degli indagati. Cioè il momento da cui si fa partire il conto dei tempi. Dopo i dodici mesi, teoricamente, tutti gli atti compiuti in violazione, sono inutilizzabili al processo. Clamoroso fu l’espediente della procura di Milano che indagava su Silvio Berlusconi per il “caso Ruby”, da cui poi sarà assolto. La ragazza era stata interrogata ripetutamente nel mese di luglio, ma l’iscrizione del presidente del consiglio era avvenuta solo nel dicembre, con grave pregiudizio per l’indagato e il diritto alla difesa.

Le indagini nei confronti di Giovanni Toti quando sono iniziate? E quando la procura di La Spezia, partita per prima, e poi quella di Genova, hanno iscritto il governatore nel registro degli indagati? Visto che l’inchiesta riguarda prima di tutto la campagna elettorale per il rinnovo della Regione Liguria del 2020, non è ardito sospettare che l’indagato eccellente sia stato controllato, pedinato e intercettato per alcuni anni, senza aver mai ricevuto neanche un’informazione di garanzia. E poiché, nelle parole della gip di Genova, è posto al centro il pericolo di reiterazione del reato, c’è da chiedersi perché un “corrotto” di tal fatta, tale da mettersi a disposizione con il peso del suo ruolo, non sia stato fermato subito, invece di essere tranquillamente lasciato lì a continuare a delinquere. Perché va ricordato che la cifra di 74.100 euro, il prezzo del “voto di scambio” con imprenditori che hanno finanziato diverse campagne elettorali del “Comitato Giovanni Toti”, è la somma di diversi versamenti e di distinti periodi.

Quarantamila euro si riferiscono al 2021, quindicimila più altri quindicimila nel 2022, e infine 4.100 per una cena elettorale del 2023. Se in tutto questo periodo queste elargizioni, regolarmente denunciate secondo le regole delle leggi elettorali, erano i frutti avvelenati di alcuni imprenditori, i quali con una mano davano e con l’altra chiedevano, perché si è consentita la continua reiterazione del reato fino al 2024? Data magica, quella di quest’anno, visto che la stessa gip scrive che proprio la vigilia elettorale di questi giorni, in Europa ma anche in molti Comuni, ha indotto a procedere agli arresti, per il timore di dover pescare di nuovo il presidente Toti con le mani nella marmellata. Strano modo di ragionare e di procedere. Non si poteva fermare il reprobo negli anni precedenti, ma è urgente farlo adesso.

Così si torna ai dubbi sui tempi del giudice per le indagini preliminari. Quattro mesi sono pochi o tanti. Secondo l’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati sono regolari e giusti. Forse lui non ricorda il suo opportuno intervento per preservare la nascita dell’Expo e il conseguente ringraziamento del premier Matteo Renzi. Ma oggi la domanda è: visto che la gip pensosa ha riflettuto a lungo, meritoriamente, prima di mettere manette ai polsi, non poteva allungare le sue riflessioni per un altro mese ed evitare il sospetto dei famosi arresti pre-elettorali? Inoltre non pare che questa inchiesta sia così complessa. Anzi. C’è solo da dimostrare che la “restituzione” da parte del governatore a quelle regalie, invero modeste, sia consistita in atti illeciti. Se non è così, l’ipotesi di reato crolla.

Ma perché cinque mesi? E la gogna già cominciata? In questi giorni tutti ricordiamo i casi degli altri governatori, indagati, sporcati nell’immagine, abbandonati dalla politica e poi prosciolti o assolti. Il caso di Catiuscia Marini in Umbria, Marcello Pittella in Basilicata, Mario Oliverio in Calabria, Attilio Fontana in Lombardia. Ma proprio nella prima Regione italiana c’è stata dieci anni fa una vicenda meno ricordata, quella di Mario Mantovani, ex parlamentare e sottosegretario, poi vice presidente lombardo. A proposito di regole e procedure. Intercettato dal 2011, il pm invia la richiesta di custodia cautelare in carcere nel settembre del 2014, il gip lo arresta, con telecamere alla porta, nell’ottobre del 2015. Oltre un anno dopo. Corruzione e altro. Quarantun giorni in carcere e 141 ai domiciliari. Fatti di gravità inaudita, gridarono giornali e opposizioni politiche. Mantovani è stato assolto definitivamente nel marzo del 2022, in appello. La procura si è finalmente arresa e non è ricorsa in cassazione. Dovremo aspettare dodici anni per attendere la sorte di Giovanni Toti?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.