Gli attentati che l’11 settembre del 2001 abbattevano le Torri Gemelle inauguravano una stagione di crisi ininterrotta dell’Occidente. Non si trattava solamente di una poderosa aggressione rivolta a distruggere gli elementi fondanti del sistema civile delle democrazie avanzate. Si trattava anche, forse soprattutto, della partecipazione di quello stesso sistema al lavorìo di smantellamento di cui quegli aerei-bomba costituivano una manifestazione appariscente e sanguinosa, ma non la causa principale.

Se già il pomeriggio di quel giorno di settembre, infatti, nelle province del fondamentalismo si festeggiava, nei centri vitali dell’Ovest democratico si rimuginava sulle colpe di un ordinamento economico e culturale che magari non aveva meritato, ma causato sì, l’assalto di cui era vittima. Il meccanismo si ripeteva per il corteo di attentati che da Londra a Madrid a Bruxelles a Parigi insanguinava le società dei settant’anni di pace impegnate a ragionare sui propri peccati colonialisti, sulla protervia dei propri valori e sull’incapacità di capire che i restanti tre quarti del mondo hanno il loro buon diritto di coltivarne e imporne di opposti, dalla Sharia alla lapidazione delle adultere, dai campi di rieducazione all’assassinio dei dissidenti.

Succedeva nel febbraio del 2022, quando l’operazione militare speciale per la “denazificazione” dell’Ucraina, qui da noi, era commentata osservando che “Putin punta sui propri obiettivi e nel frattempo cerca di non spaventare la popolazione”. Succedeva il 7 ottobre dell’anno scorso, quando la colpa “sionista” faceva archiviare i massacri e dava inizio al processo contro la democrazia che li aveva subiti. Sono le tappe di una stessa guerra, che l’Occidente perde se non capisce che è la stessa.