15 marzo
15 marzo: perché la piazza per l’Europa di Roma riflette tutte le ambiguità della politica italiana

Il piano ReArm proposto dalla Commissione UE e la manifestazione di domani a Roma sono stati oggetto di troppe divisioni e distinguo nella politica italiana su quale dovrebbe essere la nostra Europa ideale. Ma proprio in questi giorni, in cui la necessità di un’Ue forte e libera si fa più urgente e disperata, è arrivato un esempio concreto di come sarebbe l’Europa dei nostri incubi. All’inizio di questa settimana, VSquare, una piattaforma di giornalismo investigativo dell’Europa centrale, ha pubblicato un’inchiesta su due centri studi affiliati rispettivamente al governo ungherese e all’opposizione populista polacca e a un rapporto che hanno congiuntamente presentato negli Stati Uniti riguardo un progetto reazionario sulle istituzioni europee.
Il documento
L’ungherese Collegio Mathias Corvinus e il polacco Istituto per la Cultura Legale Ordo Iuris hanno illustrato le loro proposte – intitolate “Il Grande reset: la necessità urgente di riforme drastiche” – alla Heritage Foundation, lo stesso organo responsabile di quel “Progetto 2025” mirato a fornire all’amministrazione Trump il vademecum per lo smantellamento dello Stato americano. Nel documento, ungheresi e polacchi propongono di rinominare l’Unione europea “Comunità europea delle nazioni”. La Commissione e la Corte di giustizia europee avrebbero funzioni puramente tecniche che in nessun caso potrebbero superare la sovranità e la giurisdizione nazionali. “Le istituzioni dell’Ue, in particolare il Parlamento europeo (PE) e la Commissione europea (CE) – scrivono – hanno ampliato la loro autorità oltre il loro mandato originario, costringendo le leggi dell’Ue a prevalere sulla legislazione nazionale, indebolendo la capacità degli Stati membri di governare in modo indipendente”. “Gli organi dell’Ue impongono politiche sempre più motivate ideologicamente agli Stati membri, senza alcun mandato”.
Chi siamo e dove dobbiamo andare
Al cospetto di tali affermazioni, torna alla mente Jacques Derrida. “L’altro – scrisse il filosofo francese in un libro sull’Europa – è forse la prima condizione di un’identità”. Per quanto il suo mondo postmoderno sia oggi decisamente fuori moda, questo semplice principio offre un metro preciso per capire chi siamo e dove dobbiamo andare in Europa. L’Europa è sempre stata definita dall’“altro”, da quello che l’Europa non è, opposto a essa materialmente o ideologicamente, molto più di quanto riuscissimo ad accordarci su cosa fosse esattamente l’Europa che vogliamo. Oggi la Russia è “l’altro” per eccellenza, realtà sufficientemente vicina a noi per consentirci di guardarci allo specchio ma anche per capire quanto siamo diversi e cosa potremmo essere stati (o diventare). Ma in fondo, l’alterità più radicale dell’Europa è il passato dell’Europa stessa; un passato fatto di guerra e tirannia, che poi è esattamente il presente che l’Ucraina sta vivendo e contro cui sta combattendo.
Ciò che ci unisce e ciò che ci divide
L’operazione più semplice sarebbe quella di chiedere retoricamente quanti nel panorama politico italiano sostengano quel programma di ungheresi e polacchi, per poi far partire la macchina del fango. L’operazione più difficile ma necessaria è quella di mettere da parte le divisioni che abbiamo visto al Parlamento europeo e concordare tutti che questa è l’Europa dell’“altro”. Piuttosto che scannarci sulla distinzione, reale o solo semantica, tra “riarmo” e “Difesa”, dovremmo compattarci sulla necessità di sostenere i nostri valori fondanti. La fase storica in cui viviamo richiede a tutti un atto di coraggio, di mettere da parte la politica con la p minuscola e fare un salto di qualità. Individuare l’altro è sempre un atto purificatore e di chiarezza: che la manifestazione di Roma metta a fattore e separi ciò che ci unisce da ciò che ci divide.
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