La madre e i figli rifiutano: "Non hanno neppure una reliquia su cui piangere"
“150mila euro per Giulio Giaccio”, l’offerta della camorra ai familiari dell’operaio ucciso e sciolto nell’acido (per errore)

Centocinquantamila euro. E’ l’offerta presentata da due camorristi, ritenuti dagli investigatori i mandanti dell’omicidio di un innocente, alla famiglia di Giulio Giaccio, l’operaio 26enne ucciso e sciolto nell’acido il 30 luglio del 2000 in quello che poi è risultato essere un drammatico scambio di persona. Il giovane venne ucciso a Pianura, periferia occidentale di Napoli, con un colpo di pistola alla testa mentre era in auto con il commando del clan, spacciatosi per agenti di polizia, poi il cadavere venne prima preso a calci dal ras che doveva vendicare le avance fatte alla sorella e, successivamente, sciolto nell’acido con i resti (i denti vennero distrutti a martellate) fatti sparire in una fenditura del terreno.
Trentamila euro in tre assegni circolari e due immobili (una casa e un box auto presenti a Marano di Napoli) dal valore di 120mila euro. E’ questa la proposta fatta alla famiglia di Giulio alla vigilia del processo che si celebrerà davanti al gup di Napoli Valentina Giovanniello). Proposta formalizzata dai legali di Salvatore Cammarota, 55 anni, e Carlo Nappi, 64 anni, elementi apicali del clan Polverino di Marano, guidato all’epoca da Giuseppe Polverino, detto ‘o barone, in carcere da anni dopo l’arresto in Spagna avvenuto nel 2012.
“Non c’è prezzo per ripagare la vita di Giulio: dopo 23 anni, l’unica cosa in cui la famiglia crede è la Giustizia, alla quale si sono affidati” replica l’avvocato Alessandro Motta, legale della famiglia Giaccio. “La famiglia chiede la pena più severa per i protagonisti di questo orrendo delitto, soprattutto perché non ha neppure una reliquia su cui piangere”. Famiglia oggi rappresentata dalla madre Rosa Palmieri e dai figli Rachele e Domenico Giaccio (che si sono costituiti parte civile nel processo), con papà Giuseppe scomparso negli anni scorsi prima che la Dda partenopea facesse luce, dopo 22 anni, sul raccapricciante omicidio di Giulio.
In vista della prima udienza in Tribunale, gli unici due imputati (altre tre persone, tra cui l’esecutore materiale, sono indagate a piede libero in attesa di ulteriori riscontri) provano ad ammorbidire la propria posizione e, probabilmente, ad evitare l’ergastolo offrendo un risarcimento per il danno morale e materiale subito.
LA STORIA – Quella sera Giulio stava parlando con un amico in una piazzetta vicino casa sua in contrada Romano, una zona compresa tra Pianura, periferia occidentale di Napoli, e Marano. Erano circa le 22 quando, all’altezza del sagrato della chiesa, dove aveva parcheggiato la sua moto di colore nero, Giulio venne prelevato da quattro persone che si presentarono come poliziotti in borghese. “Salvatore devi venire con noi per accertamenti” disse uno dei finti agenti. Giulio chiarì subito che non si chiamava Salvatore ma seguì lo stesso i “poliziotti” dietro le insistenze e le minacce di quest’ultimi.
Salì così a bordo di una Fiat Punto di colore bordeaux e da allora mamma Rosa e papà Giuseppe, lei casalinga, lui agricoltore, non hanno saputo più nulla del figlio. Un caso di lupara bianca che, dopo indagini archiviate, ha avuto una sua svolta nel 2015 con le prime dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che hanno portato, ben sette anni dopo e grazie anche a riscontri di altri pentiti, Procura e carabinieri a chiudere il cerchio e a chiedere e ottenere dal Gip una misura cautelare in carcere nei confronti di due uomini (al momento solo indagati) ritenuti gravemente indiziati di essere i mandanti dell’omicidio e della distruzione del cadavere di Giulio Giaccio. Si tratta di Carlo Nappi, 64 anni, e Salvatore Cammarota, 55 anni. Due storici affiliati (entrambi detenuti da tempo) del clan Polverino di Marano, guidato da Giuseppe Polverino, detto ‘o barone, in carcere da anni dopo l’arresto in Spagna avvenuto nel 2012.
Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea e del Nucleo Investigativo dei carabinieri hanno accertato che Giulio Giaccio era estraneo ai contesti di criminalità organizzata e che gli esecutori del delitto l’avevano erroneamente identificato per un soggetto che stava intrattenendo una relazione con la sorella di Cammarota, una donna divorziata ma che il giovane non poteva frequentare.
Un omicidio brutale, efferato, raccapricciante, ricostruito grazie alle dichiarazioni dei pentiti, a partire dall’ex affiliato Roberto Perrone (ma anche altri due collaboratori hanno fornito gli stessi riscontri) che ai magistrati ha raccontato di aver assistito quella sera “al capitolo più nero e angoscioso” della sua carriera criminale. Uno scambio di persona che inizialmente era stato ricondotto a un giovane, che aveva la moto dello stesso colore di Giulio, ricercato dal clan perché realizzava rapine nella zona senza alcuna autorizzazione. Poi le parole dei pentiti hanno portato gli investigatori verso quest’ultima pista: ucciso perché intratteneva una relazione con la persona sbagliata.
Quella sera Giulio venne condotto in un posto abbandonato di Marano dove, al cospetto dei ras del clan, provò a spiegare, chiamando i suoi interlocutori “comandante” (perché probabilmente davvero credeva di essere al cospetto di poliziotti) che lui non si chiamava Salvatore. Secondo la ricostruzione di Perrone, a uccidere l’operaio 26enne fu un killer di fiducia del clan (ma su questo, i pentiti si contraddicono così come sul resto dei componenti del commando).
Il corpo venne poi portato in un’altra zona appartata di Marano, preso a calci da Cammarota e sciolto nell’acido. I resti vennero poi fatti sparire in una fenditura del terreno. Solo il giorno dopo il clan Polverino si sarebbe reso conto dell’imperdonabile errore del commando.
Un ragazzo di 26 anni sparito nel nulla 22 anni fa con la famiglia, di umili origini, che non ha mai smesso di credere in un suo ritorno. Lo diceva mamma Rosa nel 2012 in una intervista al programma “Verità imperfette” in onda su Canale 8. “Io la speranza non l’ho ancora persa perché altrimenti me l’avrebbero fatto trovare, in un modo o in un altro” diceva la donna. Per papà Giuseppe le speranze di un ritorno del figlio erano invece nulle. “Se la nostra famiglia fosse stata possidente probabilmente le forze dell’ordine si sarebbero mosse di più” l’amara considerazione del genitore.
La scomparsa di Giulio Giaccio si verificò appena 11 giorni prima del duplice omicidio, avvenuto sempre a Pianura (10 agosto 2000), di due giovani che con la camorra non avevano nulla a che fare: Luigi Sequino e Paolo Castaldi, entrambi scambiati per guardaspalle di un boss della zona.
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