In Italia ci sono un po’ più di 60 mila detenuti. Diecimila più di quelli che il sistema carcerario è in grado di ospitare. Quindi l’indice di sovraffollamento è molto alto. Sta crescendo. Sebbene negli ultimi anni è crollato il numero dei reati. Non è crollato solo il numero dei reati: è diminuito anche il numero degli ingressi in carcere, nonostante una legislazione sempre più severa, spinta dal vento torrido del giustizialismo politico.

Come è possibile che meno persone entrino in carcere e però il sovraffollamento aumenti? Succede che dal carcere è sempre più difficile uscire. Le cifre sono impressionanti. Le ha fornite ieri alla stampa il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. Il dato forse più clamoroso è questo: ci sono circa 23mila persone che devono scontare pene inferiori ai tre anni, o perché hanno ricevuto una condanna leggera, per reati molto piccoli, o perché hanno già scontato grande parte della pena. Queste persone, a norma di legge, potrebbero uscire e subìre le famose misure alternative. E invece restano in prigione. O perché i giudici non danno il benestare o, molto più spesso, perché non esistono strutture esterne al carcere in grado di realizzare le misure alternative. Poi ci sono altri 10 mila detenuti in attesa di giudizio (e le statistiche dicono che più della metà di loro sarà assolto, nei tre gradi di giudizio, o sarà condannato a pene molto contenute) e la stragrande maggioranza di loro non è in carcere perché costituisce un pericolo per la società, ma per ragioni relative al funzionamento delle indagini, cioè alla necessità di esercitare su di loro pressioni psicologiche perché confessino, visto che altrimenti mancano le prove per condannarli.  Di solito queste persone sono in cella in violazione della legge che prevede che  il carcere preventivo possa essere deciso solo per ragioni straordinarie e per tempi brevi. Diciamo che di questi 10 mila detenuti che la Costituzione considera innocenti, almeno 7000 non dovrebbero stare in cella. Poi sommiamo questi 7000 ai 23.000 con breve periodo residuo di pena e arriviamo a 30 mila detenuti che potrebbero essere scarcerati senza violare le leggi – anzi rispettandole pienamente – e senza mettere in discussione la sicurezza. 30.000 vuol dire la metà. Cioè potremmo dimezzare il numero dei detenuti senza compiere nessuna rivoluzione.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.