Quanto valgono 40mila morti
7 ottobre, c’è chi festeggia il sabato nero. L’Occidente vuole riscrivere la storia
L’Iran ha compiuto un’azione sterile e senza nessun possibile sviluppo. Perché sa bene di non avere nessuno alle spalle. Non le bande di terroristi palestinesi e libanesi che ha sempre sostenuto e che sono state fortemente indebolite. Non i paesi musulmani, e neppure Putin che al momento ha aperto un altro durissimo fronte. Ma il pallino nelle mani di Netanyahu non rassicura nessuno, per la tentazione fatale di una guerra che pretenda di chiudere tutte le altre guerre. Che questa volta potrebbe avere un pericolosissimo impatto sulle basi nucleari iraniane e prevedere un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti.
La resa dei conti
Ma in queste ore con il cuore in gola si dovrebbe perlomeno riattivare il cervello. Capire perché siamo arrivati fino a qui. Perché, se supereremo questa crisi, abbiamo l’assoluta necessità di una nuova politica, una nuova coesione, una nuova spinta ideale nel proteggere le nostre libertà. La resa dei conti arriva mentre un pezzo di Occidente vorrebbe festeggiare il 7 ottobre, minaccia Liliana Segre, rende a rischio anche una partita di calcio con Israele, non a Teheran ma a Udine. È lo stesso Occidente che tifa per Putin e festeggia i neonazisti che vincono in Austria. Per questa corrente di pensiero che pensa con lo stomaco, Israele non è un paese assediato da sempre da frange terroriste che praticano la sharia e vogliono distruggerlo, con l’Iran alle spalle per il dominio del Medio Oriente. Non è un paese che, con tutte le contraddizioni di una democrazia, rispetta i diritti, il pluralismo, le donne, i gay e persino gli arabi del suo paese. E non ha neppure subìto il 7 ottobre, perché l’ha di fatto provocato con una sorta di strategia della tensione sionista: girano sempre più esplicite le tesi che il Mossad “sapeva”, ma a Bibi serviva una strage per tenere a galla lui e l’estrema destra con la pulizia etnica dei palestinesi. Ci manca solo l’evocazione della plutocrazia demo-masso-giudaica.
Leader palestinesi nelle carceri
Israele ha sbagliato molto. Dal 1995, quando il leader laburista (ma anche militare e patriota) Yitzhak Rabin venne assassinato da un fondamentalista ebreo, ha fatto ben poca politica e molte azioni di forza e unilaterali. Certo, con il senno di poi si può considerare un errore unilaterale anche quando il tremendo guerrafondaio Ariel Sharon si ritirò da Gaza. Ma il limite più grande del vuoto politico degli ultimi due decenni è senza dubbio il laissez-faire verso l’occupazione dei territori della Cisgiordania, che procedeva di pari passo con l’indebolimento della già screditata Autorità palestinese. Abu Mazen inerme e rintanato a Ramallah, è stata la più grande assicurazione sulla vita e la prosperità di Hamas a Gaza. Anche perché nelle carceri israeliane vi sono anche dei leader palestinesi con cui un dialogo sarebbe forse possibile. Ma usando come grimaldello la questione-coloni, si è affermato nei paesi liberi un principio che va oltre l’ingiustizia per sfociare nell’orrore: il terrorismo e il 7 ottobre Israele se li merita, anzi se li provoca per assecondare il piano globalista di… Di chi? Soros? Bill Gates? Rothschild?
Sono sempre più flebili le voci che ricordano come Israele resti l’unico presidio di civiltà fra le barbarie di Iran, Hamas, Houti ed Hezbollah. E che quasi tutto il mondo arabo tifa senza poterlo dire per un nuovo assetto in cui Tel Aviv non solo esiste ma agisce alla luce del sole. “Israele non vuole lo Stato palestinese”, si ulula oggi da più parti. Ma Israele la pace l’aveva fatta con Arafat, non con madre Teresa, e non ha mai rifiutato un dialogo che non avesse come presupposto la sua cancellazione dalla carta geografica. Dalla formula, che è poi un cardine dell’umanità, “due popoli due Stati” (che poi sono tre, perché c’è anche il Libano), bisognerà ripartire non appena possibile. Ma resta spregevole la liquidazione delle ragioni di un paese da sempre assediato, il rovesciamento di responsabilità così diffuso nell’Occidente e praticato dal comodo di un divano prima del pranzo e degli anticipi di serie A.
Quanto valgono 40mila morti
Chi alza il dito per dire “la guerra è una cosa sempre schifosa, ma non l’ha iniziata Israele” viene accusato di razzismo con la calcolatrice in mano: 40mila morti non valgono più di 1.200? No, cari contabili del sangue, i morti palestinesi e libanesi valgono quanto ogni morto innocente. Ma erano morti innocenti anche i romani di San Lorenzo bombardati dagli americani per liberare Roma dai nazisti. E i nazisti, autori delle peggiori atrocità del Novecento, non avevano pensato a mischiarsi ai civili o a piazzare le loro basi nelle case della gente. Ciò che invece fanno i “miliziani” mai in divisa di Hamas ed Hezbollah, per far dire ai tantissimi leoni da corteo – ma anche a Biden, all’Onu o al Papa – “gli israeliani non si curano delle vittime civili”.
Chiunque abbia in animo non dico gli alti principi di difesa della democrazia, ma anche la più elementare realpolitik, comprende che gli accordi di Abramo puntavano a sbloccare e liberare il Medio Oriente, inserendolo nel circuito degli scambi con l’Europa. Chi sono i nemici di questo progetto di libertà e di sviluppo? Gli israeliani o il blocco guidato dall’Iran, che usa la gente come carne da macello per proseguire una finta guerra di religione globale? La rimozione della verità in politica ha sempre conseguenze gravi, perché corrode dall’interno nei momenti decisivi della storia. Dobbiamo solo sperare di non pagarla troppo cara, mentre i più feroci tagliagole del pianeta, protetti da Russia e Cina, puntano a vendicarsi del secolo americano cercando di fare degli Usa e dei suoi alleati le loro nuove colonie.
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