L'evento
7 ottobre, Sinistra dove sei? Da Schlein a Bonelli e Fratoianni: alla cerimonia per Israele manca quasi tutta l’opposizione
Sette ottobre 2024. Si tenga ben presente la data. Non è un giorno come gli altri e lo sanno bene, a Roma. Dove dall’alba il Ghetto è presidiato da polizia ed esercito. La ricorrenza è grave, solenne. Da elicotteri e cecchini appostati. È trascorso un anno dal pogrom più vile, violento e prolungato nella storia ebraica degli ultimi settant’anni. Una strage prolungata – ovvero una serie di stragi nel giro di due ore – che ha ucciso oltre 1200 persone innocenti e disarmate. E che tiene ancora in ostaggio 101 persone, tra cui anziani e bambini.
L’appuntamento promosso ieri dall’Ambasciata di Israele a Roma insieme con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non era certo una manifestazione politica, ma istituzionale. Per la solennità della sede, il Tempio Maggiore di Roma che è la più importante Sinagoga consacrata in Italia, e per le autorità confermate, dalla Presidente del consiglio al Sindaco di Roma, dai vertici dei Servizi a quelli della Farnesina, dal Nunzio Apostolico ai rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa. C’era il vicepresidente del consiglio Matteo Salvini, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, il Guardasigilli Carlo Nordio, il neoministro della Cultura, Alessandro Giuli, e il ministro Andrea Abodi. Si aggiungano prefetti, ambasciatori, deputati e senatori a volontà. Il presidente Cnel, Renato Brunetta. Qualche magistrato. Il presidente della Cei, Matteo Zuppi.
La celebrazione, dopo l’esecuzione rituale dell’inno di Mameli e dell’Hatikvah israeliano, l’inno alla speranza, ha visto proiettare un videomessaggio del Presidente della repubblica di Israele, Isaac Herzog. Protocollo e solennità che non hanno scalfito le emozioni di un ricordo tanto tragico e ancora presente: quei centouno che mancano all’appello invocano ancora le coscienze di tutti. O quasi. Perché qualcuno ieri non ha voluto farsi vedere nel Tempio maggiore dell’ebraismo.
A mancare era l’opposizione
C’era l’Italia delle istituzioni, vogliamo dire, come d’altronde sarebbe stato scontato? No, non possiamo. Perché mancava quasi per intero l’opposizione. E non per caso. Non può essere stata una sfortunata combinazione se mancavano Pd, M5S e Avs. Le opposizioni hanno disertato – hanno scelto di disertare – l’evento più solenne delle celebrazioni del 7 ottobre. Rivelando l’autentica natura delle riottose precisazioni dell’antivigilia, quando nessuno tra Pd, 5 Stelle e Avs aveva trovato il modo di condannare perentoriamente le violenze di Porta San Paolo.
Eppure erano invitati
Elly Schlein non si fa vedere. Giuseppe Conte non ci pensa neanche. Di Bonelli e Fratoianni neanche l’ombra. E dire che il cerimoniale dell’Ambasciata di Israele li ha invitati tutti. E che il protocollo prevede anche per loro diverse file tra i banchi di legno dell’antica sinagoga romana. Niente. Si vedono comparire solo Piero Fassino, che peraltro ha dato vita all’associazione Sinistra per Israele già molti anni fa, e il giovane Beppe Provenzano, che sarà pure vicesegretario di Schlein (con delega agli Esteri) ma non può rappresentare da solo, con le migliori intenzioni, tutto il centrosinistra. Mandarlo è stato il minimo sindacale, un beau geste pensato per non farsi dire che non era andato proprio nessuno. Il centro c’era, per una volta compatto: da Benedetto Della Vedova di Più Europa a Carlo Calenda di Azione a Maria Elena Boschi, Gennaro Migliore e Luciano Nobili di Italia Viva. A Schlein fanno notare che forse qualcosa, essendo 7 ottobre, bisogna pur dirla. E anche qui, si legge in controluce la filigrana della scarsa voglia. Passano le ore e Schlein tace. Compare, come strattonata a forza, alle 14,45 quando fa sapere alle agenzie che sì, lei è stata solidale con le famiglie delle vittime della tragedia «sin da subito». Peccato che non c’era ieri. Avrebbe seguito il racconto dell’orrore di quella mattina fatto dalla zia di una bambina che è stata sequestrata da Hamas. Avrebbe ascoltato il Rabbino capo della Comunità ebraica romana, Riccardo Di Segni, pregare per la pace per tutti i popoli del Medio Oriente. E forse avrebbe anche applaudito alle parole di Jonathan Peled, il nuovo ambasciatore di Israele presso l’Italia e la Santa Sede che ieri ha ripetuto ben dodici volte la parola «pace» nel suo intervento. Senza dimenticare di rivendicare i principi che animano l’intervento israeliano.
La vicinanza di Meloni, Letta e Salvini
«Questa guerra Israele la sta combattendo per l’Europa e anche per l’Italia contro l’islamismo radicale», dice parlando italiano. «Non possiamo permetterci di perdere in nome delle nostre civiltà e dei nostri valori comuni, per questo vinceremo», auspica. E poi lancia una massima che tutti, al Tempio maggiore, sottolineano con un applauso: «Meglio essere impopolari per ragioni giuste che popolari per ragioni sbagliate». E poi ha aggiunto: «Cerchiamo la pace con chi vuole la pace». Lo sguardo dell’ambasciatore ha incrociato più volte quello di Giorgia Meloni. «Confidiamo che il sostegno di Giorgia Meloni non venga meno», conclude l’ambasciatore Peled. La premier, venuta per dare l’omaggio delle istituzioni, conferma con un cenno la vicinanza. Non parla, come convenuto. Ascolta e stringe mani. Come Gianni Letta, che la segue. E Matteo Salvini. L’assenza dell’emiciclo sinistro della politica si avverte in tutto il suo peso.
La distanza della sinistra
«Francamente – commenta Fabrizio Cicchitto – sono rimasto esterrefatto per l’asimmetria delle presenze politiche alla cerimonia. Non si trattava di una ricorrenza da gestire in modo burocratico in una occasione così drammatica solo Fassino e Provenzano, di tutta la sinistra italiana, erano presenti. Nessun esponente del M5S, dei verdi, della sinistra. Niente Cgil. Possibile che, a parte Fassino da sempre amico della comunità ebraica e Provenzano, responsabile esteri del Pd, nessun altro abbia sentito la sollecitazione morale prima che politica ad essere presente? Tutto ciò è una agghiacciante testimonianza di distanza dal mondo ebraico resa ancor più significativa perché fatta da gente che la storia la conosce».
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