Dall’inizio della guerra di Gaza, cioè la guerra scatenata dai 3mila miliziani e civili palestinesi che hanno sventrato Israele il 7 ottobre dell’anno scorso, sono entrati nella Striscia aiuti umanitari per più di un milione di tonnellate. Più di 57mila camion con oltre 800mila tonnellate di cibo, oltre 51mila tonnellate d’acqua (più quella fornita da tre linee di acquedotto), oltre 27mila tonnellate di materiale medico-sanitario, oltre 85mila tonnellate di materiale per la realizzazione di ripari e allestimenti da campo, oltre 25mila tonnellate di gas, e via di questo passo.
Era possibile fare di più? Diciamo che era non solo possibile ma probabile, se non addirittura certo, che si potesse fare di più (per quanto si trattasse di zona di guerra, con i valichi costantemente esposti al fuoco delle milizie palestinesi). Era possibile fare meglio? Anche qui: probabilissimo (per quanto l’efficacia del flusso degli aiuti fosse messa costantemente in pericolo dai predoni di Hamas).
Ma chiunque fosse dotato almeno di un pizzico di onestà intellettuale e di decenza morale capirebbe che la fornitura di quel complesso di aiuti è semplicemente incompatibile anche solo con l’idea che chi ha provveduto ad assicurarli – potendo fare di più, d’accordo, potendo fare meglio, per carità – abbia programmato e attuato la campagna di sterminio per fame di cui si straparla nelle versioni togate dei comizi dal fiume al mare, vale a dire le deliberazioni e i pareri dati fuori senza sosta dalle cupole della giustizia internazionale.
Ci vuole un certo coraggio per denunciare l’intento genocidiario di chi fa arrivare tutta quella roba alla popolazione che vorrebbe far morire di stenti. Ci vuole un certo coraggio per dare il nome di sterminio per fame, per sete e per mancanza di cure a un’operazione bellica accompagnata da quei convogli di cibo, medicinali, acqua, carburante. Ci vuole un certo coraggio per formulare quelle accuse quando è documentato che gli aiuti alimentari sono sistematicamente sequestrati da Hamas, che li rivende a strozzo ai poveracci, mentre l’energia fornita a Gaza finisce meno ad alimentare i ventilatori negli ospedali che a illuminare i tunnel, le belle architetture sotterranee costruite con i soldi della cooperazione internazionale e usate dai terroristi per preparare attentati e tenere sequestrati gli ostaggi.
Ci vuole proprio quel coraggio davanti alla realtà che denuncerebbe la farsa, se non fosse un’oscenità, dell’accusa di procurata carestia. È il coraggio di chi dimostra di non tenere neanche per sogno ai diritti e alla vita della popolazione civile di Gaza, alla quale non augura di avere più aiuti ma un nemico incolpato di volerla affamare. È il coraggio di chi vorrebbe “premiare” la popolazione di Gaza con una condanna per genocidio a carico di Israele, giusto come quelli che la sequestrano – vale a dire i macellai di Hamas – la premiano con le promesse paradisiache del martirio.