A Idlib in Siria 500 mila bambini in fuga ma qui si parla solo di coronavirus

Si vedono in fondo, sulla linea d’argento del dorso delle foglie d’ulivo, nuvole a pecora, basse sopra l’orizzonte, chiocce messe in fila che l’Ostro spinge al nord. È un vento caritatevole il Noto, rende meno triste l’addio spargendo il grigio sul mondo che si lascia per uniformarlo a quello in cui si va, abbrevia i saluti, asciuga le lacrime, schiude le porte del viaggio. Partono così i bambini di Idlib, se li porta via il vento, fra le promesse di un ritorno che sarà per sempre e invece non ci sarà quasi mai, e la certezza di una transumanza addolorata, vermiglia di perdite e pallida di gelo.

È il vento il marchio della città e della sua provincia, il Dio del vento, in Aramaico, Idlib, che per secoli ha rinfrescato la pace e fatto vivere insieme Sunniti e Sciiti, Drusi e Armeni e Alauiti e Cristiani, all’ombra di dieci milioni di piante di ulivo, l’orgoglio di questa terra del nord-est della Siria. Il suo destino lo si era capito da subito, dall’insediamento della dinastia di Assad: Hafiz venne a visitare la città nel 71, subito dopo il colpo di Stato che gli valse il potere. Gli abitanti di Idlib gli fecero l’offesa più grande che conoscevano: i figli del vento si sfilarono le pantofole, ne scossero la polvere dalla terra che era loro, e le lanciarono addosso al padre di Bashar. E dopo non ci poteva essere amore.

È stata una lunghissima stagione dell’odio quella fra gli abitanti della città, e di tutto il governatorato di Idlib, e la famiglia Assad, continuata dopo la morte di Hafiz, portata avanti cinicamente da Bashar, contro la parte più riottosa della Siria: ribelle e col livello di cultura più alto di tutto il Paese, questa è la caratteristica della popolazione da anni obiettivo delle bombe. Riottosi e colti, quelli di Idlib, allergici alle catene, oppositori irriducibili del regime. Hafiz fece deviare perfino le strade per isolare quel mondo ostile, tenendo Idlib fuori dall’asse di grande comunicazione Damasco-Aleppo.

Colpirli, colpirli duramente nelle loro piante più giovani non è un effetto secondario dei bombardamenti, è stroncare una sicura opposizione futura. A Idlib si uccide la gente, si ammazzano soprattutto i bambini, le bombe devastano le scuole. E quando la polvere delle macerie ricade al suolo, i figli di Idlib si sollevano, si fanno ripulire dal vento e cominciano il loro cammino. Sono migliaia, centinaia di migliaia i bimbi in marcia da Idlib, che è stato il giardino delle meraviglie della Siria, col suo record mondiale di ulivi e fichi e i campi infiniti imbiancati dal cotone.

Sono il simbolo della resistenza, ma sono soprattutto l’ultima propaggine di una speranza di pace, i sopravvissuti di un mondo che è stato commisto e pacifico e che presto busserà alle porte dell’Occidente. L’Occidente non ha vista buona e orecchie pazienti e forse non lo capirà che questi corpicini macilenti non arrivano dal nulla, vengono dalla profondità della storia, hanno il sangue della ribellione e della libertà dentro, e sono figli del vento.