Salva Milano ma non solo. Parla Stefano Pillitteri, già consigliere comunale e assessore con le giunte Albertini e Moratti.

La settimana scorsa si è consumato probabilmente il momento più critico dell’amministrazione Sala. Ora resta il tema sospeso del decreto Salva Milano, ma c’è di mezzo tutta una visione di città…

«Per quanto riguarda quella seduta di Consiglio comunale, devo dire che l’ho trovata piuttosto surreale. Ma a partire dalle ragioni della convocazione, nel senso che non si capisce perché l’assessore Bardelli abbia dovuto dimettersi, perché sia stato scaricato dal sindaco – alla fine questo è successo – considerato che non c’entrava assolutamente nulla con le vicende dell’urbanistica che sono nel mirino della Procura di Milano. E tutti dicono che stesse facendo un buon lavoro. Per quanto riguarda la visione di città, la mia opinione è che una deregolazione urbanistica come si è vista negli ultimi, diciamo, dieci anni, non si era mai vista. Si è lasciata la crescita della città totalmente in mano ai costruttori».

Aspetti: questo modello, dopo l’Expo, ha dato a Milano un’impronta, rigenerando delle aree, come quella che da Porta Garibaldi arriva fino alle ex Varesine, oppure City Life, ma anche il progetto di Nolo. Davvero vogliamo negarlo e rinnegarlo?
«È chiaro che questo modello ha prodotto, sicuramente, una grande crescita urbanistica, ma a carissimo prezzo, perché la città si è riempita di un’edilizia pessima, impattante, che non c’entra nulla con il tessuto urbano e ha prodotto un aumento esponenziale dei costi degli immobili».

Quello dei costi è un tema un po’ complesso, ma restando all’edilizia, la città ha cambiato volto…

«Quelli che ha citato sono stati degli interventi vetrina e che sono stati concepiti dalle amministrazioni Albertini e Moratti. Sicuramente hanno reso la città più bella, ma l’edilizia è totalmente fuori controllo, senza visione complessiva. Basta andarci a vedere il cosiddetto Villaggio olimpico, che è un capolavoro di architettura “sovietica”. Insisto: si è aperta una corsia preferenziale per i costruttori, a discapito della città».

In tutto questo periodo sono stati numerosi i ricorsi, che però hanno trovato sempre risoluzione a favore dei costruttori e dei processi di autorizzazione…

«Io rilevo sul fatto che a Milano ci sono 150 cantieri fermi, ce ne sono diversi sotto sequestro e ci sono dei progetti che stanno partendo. Da quello che emerge dalle intercettazioni tra commissioni, costruttori, architetti c’era un cosiddetto rapporto di “amichettismo”, e quando gli “amichettismi” si consolidano non puoi terminare anche nel malaffare, perché tutto diventa opaco».

Proviamo a spostare il tema a monte, alla politica. È che c’è debolezza?

«Certo. Se la politica abdica davanti alla Procura quando arriva un provvedimento di arresti domiciliari e un sindaco prende le distanze da un provvedimento (dicendo in sostanza: lo voglio ma me lo devono approvare gli altri), questa è la resa della politica. Ed effettivamente è molto imbarazzante».

A questo punto faccio fare un passo in là. C’è tutto un insieme di criticità che va dalle periferie alla gestione dell’edilizia popolare, ai costi, all’urbanizzazione, alla viabilità. Forse quella percepita come emergenziale è la sicurezza…

«L’impressione è che questo decantato modello di rigenerazione urbana fosse sufficiente a caratterizzare una linea politica. Sulla sicurezza, si è arrivati a ironizzarci sopra con Gotham City, poi si è arrivati al sindaco che dice “ci metto la faccia”. Il sindaco è in grado di convocare il Comitato della sicurezza ed è questo lo strumento da utilizzare. Quando c’è l’uomo solo al comando, tutti quelli che lo sostengono si sentono come in dovere di difenderlo sempre e comunque, e si finisce per nascondere la polvere sotto il tappeto».

Siamo tornati a parlare di politica, del suo primato…

«Quello oramai si è perso da tempo. Dalla crisi verticale che si è prodotta nei primi anni ‘90 si è entrati in una sorta di tunnel dell’orrore, in cui tutto è andato sfalsandosi. Bisognerebbe ritornare a sindaci che siano espressioni della politica e creare una visione della città – appunto – politica».