Il caso di Luigi Caiafa
A Napoli lo Stato per vincere ha perso: ha seppellito i clan che sono stati sostituiti dalle bande
Sono guaglioni a miez’a via. Figli di una Napoli che partorisce la prole direttamente sul marciapiede, in una nuttata fatta per non passare, prossima a un’alba che è una beffa: così vicina ed eternamente irraggiungibile. Vittime, vittime, vittime: i tentati rapinatori, i poliziotti, i mancati rapinati. Uguali pur essendo diversi, uniti da un appuntamento tragico alle quattro e mezza di mattina, che se stai lì, a quell’ora, la tua vita è in bilico, qualunque sia la giacca che indossi. A Napoli lo Stato ha realizzato il paradosso perfetto: per vincere ha perso. Ha spazzato via i clan con migliaia di arresti e sepolture carcerarie e non ha saputo creare un mondo normale, le opportunità. Ha lasciato che i clan venissero sostituiti dalle bande, dall’anarchia di una malavita stracciona. E Napoli è passata dall’immoralità alla amoralità, la camorra si è trasformata in gomorra e le pistole, a volte finte, sono finite in mano ai bambini: che non c’è un meglio o un peggio, un prima o un dopo. È tragedia sempre, solo con meno speranza, con vie d’uscita ridotte.
Luigi guidava il motorino e Ciro stava dietro, la versione della Polizia è che abbiano tentato di rapinare tre ragazzi che avevano appena parcheggiato la macchina. I Falchi della squadra mobile sono intervenuti: Ciro ha puntato la pistola, un poliziotto ha sparato. A terra, faccia alla luna, è rimasto Luigi. La pistola è risultata finta, ma questo non cambia le cose, e non ci saranno piazze piene a chiedere verità, si lascerà urlare una madre in solitudine, la mamma di un ragazzino di 17 anni che non è più figlio della città, ne sta cercando una migliore fra le nuvole. Ha raggiunto Ugo, che per un rolex è morto uguale a 15 anni, qualche mese fa. Staranno insieme ai tanti bambini di Napoli che nella vita hanno fatto da tappeto all’asfalto. Staranno insieme ai morti del passato, che campavano qualche anno in più perché i clan comandavano e i Falchi le pistole le usavano raramente: la camorra era orribile ma restava un fatto da grandi.
I bambini, per quel paradosso perfetto della vittoria-sconfitta, non si azzardavano a salire sui motorini di notte, e nemmeno uno soprannominato Carogna si sarebbe lasciato sfuggire il figlio dal controllo. C’era una legge dei fuorilegge, ignobile non buona, ma che aveva una breccia in cui potersi infilare e mutare il destino, si poteva oltrepassarla per costruirle contro qualcosa di buono. La speranza di salvare. Lo Stato ha eliminato i prodotti della disperazione, ha lasciato intatte le ragioni del disagio, e ogni bottega che chiude, ogni saracinesca che si abbassa, ogni porta sbarrata in faccia al bisogno, è una banda che nasce, un cane arrabbiato che si scioglie: infrange un patto sociale tradito. Oggi il terreno è senza punti di riferimento, la malavita è nebbia: l’attraversi e si riforma alle spalle. Napoli non lo ha più un Eduardo che la porti sul palcoscenico, le note di Pino Daniele non li bazzicano i vicoli, il genio di Maradona è sostituito dalla burocrazia dell’ASP.
La città nemmeno si è accorta che un bambino è mancato, Napoli è una madre distratta, se accenni alla rapina non pensano a quella in cui Luigi è volato giù dallo scooter: scattano, imprecando, riferendosi al Napoli che non ha giocato a Torino e temono che gli venga rapinata la partita. Luigi è morto perché Napoli, il Sud, non sanno fare le rivoluzioni: i meridionali si agitano un poco per poter dire, dopo, che si stava meglio quando si stava peggio. Per poter fare le restaurazioni, campo in cui sono campioni imbattibili. Luigi è morto perché tutti capissero quanto Napoli sia andata a fondo, con quelli che si aggrappano sulle salite aristocratiche e non le sentono le urla dei bambini, giù nei quartieri.
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