Fondazione Annali dell’Architettura e della Città e ANIAI -con INARCH e DoCoMoMo- hanno promosso un confronto fra architetti di diverse generazioni. Coordinato da Pasquale Belfiore e Alessandro Castagnaro, prende spunto dal libro curato da Attilio Belli “Napoli 1990-2050” -analisi dei trent’anni passati e prospettive per i prossimi- con l’acuto saggio di Belfiore “Architettura, parte lesa”.

Sono il più anziano fra i quattro architetti coinvolti: alle spalle ho non uno, ma due periodi di trent’anni in questa città, e fido nei trenta futuri. Nel caso specifico, trent’anni sono intervalli significativi, sia per le vicende locali, sia come si sono trasformate le regole nazionali sul costruire. Fra 1960 e 1990 Napoli segue le norme del PRG 1939 (troppo disattese) poi quelle del PRG 1972: nel 1975 il Comune frena il “Piano Quadro delle Attrezzature” che avrebbe reso Napoli “città dei cinque minuti” ante litteram. Negli anni ’90 -accantonata l’intelligente impostazione del “Preliminare di Piano 1991”, transumando attraverso una lunga “salvaguardia”- si forma il PRG 2004, approvato sei mesi prima che la Legge Urbanistica Regionale abolisse i PRG introducendo i PUC: non è un gioco di acronomi, sono strumenti diversi che segnano l’evolversi del governo dei territori. Comunque l’attuale PRG -espressione di una cultura anacronistica già quando prese avvio- si è dimostrato privo di visioni per la città oltre che paralizzante.

Peraltro ha continuato nella singolare (non solo in Europa) misurazione del costruito in termini di mc invece che di mq utili, con conseguenze negative, particolarmente vistose nel Centro Direzionale. All’imperizia locale si aggiungono follie di scala nazionale. Negli anni ’90 il Capitolato OO.PP. in vigore dal 1895 è sostituto dalla cosiddetta Legge Merloni che – pur se ha il merito di aver portato a unità il progetto (non più architettura + strutture + impianti + …) – confonde la produzione di un edificio (per definizione prototipo e indissolubilmente legato ai suoi contesti) con quella di un frigorifero o di qualsiasi prodotto industriale (messo a punto attraverso vari prototipi, poi per sua natura collocabile ovunque).

Da allora norme, responsabilità moltiplicate, procedure asfissianti impegnano oltremodo i progettisti. Tuttora un Codice degli Appalti regola anche la progettazione degli edifici: in Europa, l’Italia è tristemente anomala. Anche i compensi professionali fissati dalla legge del 1949 (un disincentivo al frammentare le fasi di progetto, oggi invece prassi devastante) sono concettualmente sconvolti nel 2001 e dai successivi provvedimenti di dubbia interpretazione. Negli ultimi trent’anni poi le “gare” diventano prevalenti sui “concorsi”, la qualità del costruito regredisce vistosamente, benché da tempo l’Europa abbia impegnato gli Stati membri a che “le costruzioni pubbliche siano esemplari in termini di qualità”.

Mancanza di occasioni, lentezza, ossessioni procedurali e disinteresse delle Amministrazioni napoletane per la qualità delle trasformazioni e dell’architettura sono dati di fatto. Basta osservare che il Ministero della Cultura ha selezionato a Napoli -dal dopoguerra al 1961- 53 interventi; tra 1960 e 1990 poco più di 40; negli ultimi trent’anni (oltre al “sottosuolo dell’arte”) solo 5 (uno peraltro progettato seguendo le norme del PRG 1972). Fuori dal Comune di Napoli va un po’ meglio: lo confermano sia molte vivaci esperienze in corso illustrate dai bravissimi più giovani architetti coinvolti, sia la locandina dell’incontro con l’immagine di un capolavoro anni ’50, realizzato in provincia.

Precondizioni dell’urgente metamorfosi sono: conversione metropolitana, regole agili, velocità, ascolto. Napoli è da sempre ricca di energie intellettuali che non vorrebbero più edifici come “ingombri” e che quindi hanno forte “desiderio di città”: nel 1988 -allora Futuro Remoto si svolgeva negli spazi della Mostra d’Oltremare- la Fondazione IDIS promosse la mostra “Città Futura” (contributi di una trentina di autori non solo italiani, libro edito da CUEN, filmati); e nel 2022, con lungimiranza e coraggio, il IV°Congresso Nazionale dell’”Italian Institute for the Future” si svolgerà in ottobre proprio a Napoli. Il titolo è significativo: “Abitare il domani”.