A New York c’era lavoro per gli italiani d’America. Storie del passato tra “rimesse”, mafia e violenze

Il sogno di una vita nuova, senza più fame, era la baia di New York, la Statua della Libertà, Ellis Island e poi le Little Italy di Brooklyn e Manhattan. C’era lavoro, durissimo e mal pagato, per tutti: tre milioni e mezzo di italiani all’avvento della Prima guerra mondiale varcarono l’Oceano alla ricerca di una sopravvivenza decente, verso “la Merica”. Una storia lunga, tremenda ma anche gloriosa e commovente: in “Italiani d’America” di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Il Mulino, pagg. 549) c’è se non tutto comunque moltissimo su questa storia: documenti, lettere, dati.

Commovente, sì: «Amato fratello – scrive nel 1916 il palermitano Vincenzo D’Aquila riguardo alla Merica mie stato riferito che fa guerra col Messico ma lamerica devi pensare che non è una nazzione scalcinata come Italia perché è furba fino a troppo…». Lettere drammatiche o piene d’amore per i familiari rimasti in Italia a cui gli emigrati inviano soldi, tanti soldi, le famose “rimesse” che alleviarono non poco le condizioni materiali di tanti italiani: «Cara Mariuccia – scrive Agostino Braccini alla moglie nel 1925 – ora ti mando due cecci di cento dollari ciascuno (i “cecci” erano gli assegni, ndr) non posso mandarti di piu perché ho speso 7cento scudi a ricomodare la casa cio o messo la luce elettrica mi è gosto 328 dollari e più ho dovuto pintare le scale…». Quanta passione in questo italiano improbabile! In questo grosso studio ci sono poi anche la “Mano Nera” o “La Cosa Nostra”, i gangster italiani (Lucky Luciano il più noto), la mafia e le violenze, ma il quadro complessivo è di una lunga odissea fatta di lavoro, umanità e sudore. Utile ricordarsene, di questi tempi.