Solo Rosalia, santa patrona vergine ed eremita, potrebbe salvare Palermo, una città che scivola verso un declino degradante da anni. Ed è proprio alla figura di Rosalia che si sono ispirate le donne dello Sperone, combattive amazzoni di un quartiere di estrema periferia. Lo Sperone, sul litorale sud-est del capoluogo dell’isola, è sempre stato “Frontiera”, fin dai tempi in cui il suo nome fu preso da un monumento cuneiforme a cui venivano appesi i corpi dei malfattori, a fare da monito alle genti che provenivano da Messina. Una frontiera con i suoi lupi, i signori del crack, in un quartiere che ne è la maggior piazza di spaccio. Un luogo in cui lo Stato, e le sue regole, è lontano, come in quel video che ha fatto il giro dei telegiornali, in cui si vedevano torme di gente che arrostivano e festeggiavano su un tetto condominiale durante il lockdown.

Chi sono le Rosalie dello Sperone?

Chi sono le Rosalie dello Sperone? Sono un piccolo esercito di donne, madri, figlie, insegnanti, spronate e guidate da Antonella di Bartolo, preside della Sandro Pertini, la scuola del comprensorio, unica e sola presenza di comunità, di un sentire comune, di servizio statale, dove non c’è nulla. Dove è già un miracolo che funzioni il servizio postale, quello che ti manda bollette e ingiunzioni a più non posso. Mai buone notizie, di altro non c’è traccia. Non ci stanno le Rosalie ribelli, a veder crescere i propri figli nel degrado materiale e culturale, nel ghetto in cui anche la loro città li confina. Sono scese in marcia, un movimento tellurico, che con la forza e la fiera mitezza delle donne vuole urlare che lo Sperone non è solo spaccio e droga, non è solo delinquenza.

Questo quartiere confina con la Brancaccio di Padre Puglisi e dei Graviano, e Acqua dei Corsari, nomi noti che nulla hanno di rassicurante per coloro che Palermo la conoscono dalle cronache dei giornali, e nemmeno per gli stessi palermitani borghesi. La borghesia è venuta allo Sperone, ha presenziato, come si dice in questi casi: c’era il sindaco Lagalla, l’assessore alla Cultura Cannella, ma le protagoniste erano loro, le donne del quartiere, che già sono riuscite a lottare contro la disperazione sottoforma di dispersione scolastica. Sono riuscite al suono della campanella, con lo stimolo di operatori da nominare tutti Cavalieri del lavoro, quello vero, civile, a riportare i figli in una scuola che era stata bruciata e abbandonata. Hanno sfilato qualche settimana fa, nell’ambito dei progetti di comunità nell’anno della 400esima festa per la liberazione dalla peste per opera della Santa Patrona. Hanno sfilato su un carro, davanti a un murales di Giulio Rosk che raffigura due Rosalie: una iconica nel suo sguardo rassicurante, e l’altra col volto di bambina, infastidita, che si tura il naso davanti al degrado della nuova peste che dilaga in città. La droga.

A Palermo si muore di crack

A Palermo si è ricominciato a morire come negli anni ’70; allora di eroina, oggi è il crack che infetta i giovanissimi. Queste Rosalie ribelli hanno a fianco, nello stesso palazzo, nello stretto circondario, uomini che sulla nuova peste ci campano, come i monatti del ‘600 manzoniano. Ma loro non vogliono questo destino per il loro futuro: per questo si ribellano, per questo gridano verso istituzioni sorde. È una ribellione mossa dal basso, che non vuole abbattere, se non il muro dell’indifferenza, ma costruire progetti di comunità, come quello sull’allattamento, come quelli per integrare un territorio che non vuole scivolare verso un baratro di ignoranza e miseria umana. Urlano festanti le Rosalie. Non è un urlo angosciante e muto, come quello di Munch, ma gioioso e allegro, da giorni di festa, bianco di candore, il candore delle ragazze.