Dalla guerra alle sfide che attendono quel riformismo “radicale” che deve connotare il nuovo Pd di Elly Schlein. A discuterne con Il Riformista è Roberto Morassut, parlamentare tra i più vicini alla segretaria Dem.

La guerra d’Ucraina è entrata nel suo secondo anno. Ma la politica, soprattutto europea, stenta a manifestarsi. C’è spazio solo per la “diplomazia” delle armi?
Non possiamo non vedere che la vicenda della guerra in Ucraina sta assumendo un carattere nuovo e che occorre mettere in campo una iniziativa politica che, senza allentare il sostegno militare ad un paese aggredito, cominci però a far emergere parallelamente una iniziativa diplomatica che abbia al centro una nuova idea di sicurezza mondiale e anche una iniziativa di massa per una pace giusta che non appaia una stampella per la politica militare, espansionista e aggressiva di Putin. Noi non possiamo permettere un ritorno sul suolo europeo di missili nucleari di teatro, un aumento esponenziale delle armi convenzionali. Ne va della stessa sovranità europea che non ha ancora una difesa comune e che vede il cuore del continente ingolfarsi di sistemi bellici in gran parte provenienti da altri paesi. Più volte abbiamo sottolineato la necessità di una visione della Nato come alleanza per la sicurezza in cui l’Europa non sia, come oggi in gran parte è, una somma di stati aggregati al capofila Usa e alla sua egemonia politica e di strategia militare ma una seconda colonna di un edificio paritario. Le elezioni in Finlandia dimostrano che lo spazio delle forze socialiste e democratiche in un contesto di esclusiva escalation militare si riduce catastroficamente in favore delle destre conservatrici o sovraniste. Quindi dico: difesa dell’Ucraina e sostegno militare senza timidezze o terzismi ma una forte iniziativa diplomatica e soprattutto politica tra le masse popolari e nelle relazioni internazionali per una nuova idea di sicurezza multipolare. Il confine tra la Russia e la Ue, anche immaginando un ingresso futuro dell’Ucraina nell’Unione può, ad esempio, essere immaginato come una grande fascia denuclearizzata e presidiata dagli organismi di sicurezza internazionale? Qualcosa deve muoversi perché stiamo imboccando uno spaventoso piano inclinato. Il Partito Democratico può essere protagonista all’interno del Partito socialista europeo e dell’Internazionale socialista di una proposta dinamica e non più staticamente di rivendicazione della sovranità ucraina che è sacrosanta ma che non basta evidentemente più a garantire la sicurezza né europea né mondiale.

Lei si è schierato nelle primarie per Elly Schlein. Come valuta i primi atti della neo segretaria?
Elly Schlein ha vinto le primarie, sorprendendo molti. Non me e non altri che hanno sempre creduto nella sua capacità di scuotere un partito che era finito su un terreno arido, sabbioso. Adesso siamo di nuovo in campo e, occorre riconoscerlo, molto si deve ad Elly, alla novità del suo messaggio, del suo linguaggio e delle sue idee. Questa forza deve continuare ad esprimersi e ognuno di noi deve fare qualcosa per liberare ancora più energie, per sciogliere i lacci e le spire che, per pigrizia, per consuetudine o a volte per interesse, hanno avvolto tutti i segretari che hanno provato a cambiare e che dall’inizio condussero persino alle dimissioni di Walter Veltroni che, ricordiamocelo, lasciò la guida di un partito appena fondato proprio per non dividerlo o romperlo difronte al Termidoro delle correnti che si era prodotto come reazione all’innovazione del Lingotto. Di fatto siamo sempre lì da anni, il nodo è ancora quello. Adesso Elly ha più forza e deve essere aiutata sulla traccia segnata dal congresso. Certamente nell’unità ma anche nella chiarezza.

Unità e chiarezza. Non rischiano di essere un ossimoro visto i trascorsi Dem?
Io penso che il nuovo gruppo dirigente che si formerà in questi giorni deve assolutamente organizzarsi fattivamente per strutturare quella costituente che si è detto, deve continuare. Io dico: “che si deve fare”, perché non c’è mai stata. Nel 2016 posi il tema della “Costituente” per trasformare il Pd da un partito pieno dei difetti del 900 ma senza le virtù dei classici partiti di un tempo. Per puntare ad un partito- movimento più “orizzontale” che “verticale”. Un punto di incontro di circoli e reti organizzate democratiche interne e esterne. Fatto di porte girevoli capace di determinare continuamente le condizioni di uno scambio tra interno ed esterno e non di mura con poche porte accessibili, in un labirinto di correnti per lo più senza grandi differenze culturali ma molto di gestione di apparati interni e auto riproduzione dei gruppi dirigenti. So che Elly è convintissima di questa esigenza. Per questo dico: strutturiamo il nuovo gruppo dirigente in funzione di questo percorso, creando un “Forum per la costituente dei Democratici”, articolato per territori e anche per temi. Sarebbe un lavoro complesso ma assolutamente entusiasmante e produttivo e che tutti si aspettano si inizi a vedere.

Come dovrebbe declinarsi un riformismo “radicale” ad esempio sul terreno istituzionale?
Il tema delle riforme istituzionali e costituzionali, compresa la legge elettorale, fa parte di questa nuova idea di partito che dobbiamo perseguire perché, in fondo, parliamo della stessa materia. Le forme della partecipazione nel nuovo mondo. Non possiamo più proseguire con leggi elettorali che per gran parte selezionano gli eletti dall’alto. Non dobbiamo poi stupirci del calo dei votanti né della anchilosi dei partiti, svuotati e depauperati. Io penso che il sistema per collegi uninominali a doppio turno debba essere la nostra stella polare. La destra lo propose in campagna elettorale. Beh vediamo se sono ancora d’accordo. E’ li che si misura il radicamento dei candidati e la forza di una coalizione. Ma per reggere, un sistema elettorale di questo tipo, implica un nostro passo avanti oltre le colonne d’ercole del parlamentarismo di scuola che abbiamo sempre difeso, spesso acriticamente. Implica l’andare a vedere e a discutere di elezione diretta, quantomeno del premier. Oggi la nostra Repubblica è parlamentare nella forma perché le Camere svolgono una funzione legislativa molto tenue. Mentre i Governi stra-legiferano ma senza avere una durata strategica per portare avanti una politica. Tutto è distorto. Ritengo che questo sia un tema su cui aprire una interlocuzione e dividere la destra. Si. Perché aprire al premierato o al semi presidenzialismo dovrebbe avere come condizione quella di chiudere assolutamente sull’autonomia differenziata. C’è semmai il tema di una riforma del regionalismo italiano e c’è da almeno vent’anni.

Nel concreto?
Una riforma non solo delle funzioni delle regioni ma della struttura geografica di bacini squilibrati, di eccesso di suddivisioni territoriali, dell’assenza di una attenzione ad alcune aree urbane che dovrebbero invece godere di poteri di rango regionale – come Roma, Milano, Napoli e persino Venezia – e della possibile creazione di una grande regione del Mezzogiorno. Il Sud, oggi è diviso in troppe regioni e così frammentato non potrà mai svolgere il ruolo anche geopolitico che gli compete nell’area mediterranea, avere la massa critica adeguata per puntare sulle proprie energie produttive su cui poggiare il proprio sviluppo. Questa è la lezione della grande tradizione meridionalista e democratica di Salvemini, Gramsci, Dorso che dobbiamo riprendere e attualizzare.

Che destra è quella al governo in Italia?
La destra sta cercando di cambiare le basi morali e storiche della repubblica e della Costituzione. Per ora è un tentativo fatto di piccoli agguati, di affermazioni e di equivoche retromarce perché non hanno la forza per tentare uno scontro frontale, in quanto la coscienza democratica e costituzionale è comunque forte e radicata nel Paese. A questo obbiettivo, di scavare un poco per volta i pilastri della memoria e di taluni capisaldi del giudizio storico e politico sulla Resistenza rispondono le uscite di La Russa e certe goffe e certe affermazioni della stessa Meloni. L’obbiettivo è stravolgere la lettura della Resistenza come lotta di liberazione nazionale che ebbe però al centro il ruolo della sinistra italiana, del movimento operaio, senza il quale noi non avremmo avuto la Costituzione che abbiamo con i suoi principi avanzatissimi che peraltro trae le proprie più antiche radici dalla Costituzione della repubblica romana del 1849 e quindi dall’espressione più avanzata del Risorgimento. Se noi isolassimo e riducessimo nel giudizio storico e politico della resistenza e della Costituzione questo aspetto avremmo un’altra Repubblica, più arretrata, con basi popolari più ristrette, con un carattere tendenzialmente reazionario. Questo è il tentativo della destra. Tra dichiarazioni e mezze marce indietro far passare la percezione di un’altra storia, aprire le porte a un clima che consenta una revisione dello spirito fondamentale della Costituzione. Per questo occorre, in questa battaglia sulla memoria, una grande capacità di lavoro di massa, tra i giovani, le associazioni e le reti civiche ma anche una mobilitazione di energie intellettuali e culturali.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.