Quattro anni, gli ultimi, segnati da una micidiale catena di eventi, a dir poco sgradevoli. Nel 2019, giusto a luglio e ad agosto, Iddu si produce in due “parossismi” (la definizione è scientifica, la parola dice tutto), con “bombe vulcaniche”, lapilli e frammenti di roccia che sprofondano in mare, lungo la Sciara del Fuoco: è l’eruzione più importante dopo quella che, nel 1930, spopolò l’isola e fece di Island Bay (Wellington, Nuova Zelanda) una piccola Stromboli. Più modestamente, nel 2019 l’esodo si limita a Chiara, nostra amica milanese (“qui non tornerò mai più!”), e a qualche altro neofita di scorza debole; ma la paura – siamo onesti – ce la prendiamo anche noi. Appena il tempo che si plachi il vulcano, e nel 2020 arriva il virus che infetta il mondo. L’isola si protegge con una certa tigna, fregiandosi dell’etichetta Covid-free, e pretendendo il rispetto delle norme – solitamente un po’ lasche da queste parti – con sguardi vigili e sospettosi lanciati verso i pochi temerari che sbarcano dalla Laurana (la scalcinata nave che ci traghetta qui ogni anno) pressoché deserta.

Mentre nel 2021, non appena i controlli si allentano, l’immunità di gregge svanisce a causa di una piccola carovana di innocenti milanesi incovidati, capeggiati da Sergio Scalpelli, che in un battibaleno vengono incapsulati dentro fantascientifiche tute bianche e trascinati via come appestati, non senza un malcelato senso di revanche dei locali (“poi gli incivili saremmo noi…”). E quando, finalmente, i due anni orribili vanno via e il 2022 si annuncia come la stagione della Grande Ripresa, l’unica ripresa (TV) è una fiction girata sull’isola, denominata “Protezione Civile” (!!), la cui produzione allestisce un incendio finto in uno sciroccoso giorno di maggio e ne genera uno vero che si propaga dappertutto, incenerendo mezza Stromboli. Per cui tre mesi dopo, il 12 agosto, basta una disastrosa pioggia a trascinare tonnellate di fango a valle, vomitate dalla montagna che non gode più della barriera della vegetazione distrutta.
Capite bene che solo gente temprata a tutto avrebbe potuto resistere al maledetto quadriennio nero 2019-2022. E ricominciare, ripartire come se niente fosse (o quasi). Che è poi l’aria che tira, non esibita ma leggibile, in questo Ferragosto strombolano 2023 minore, timoroso e prudente, che pare voler alludere e credere in un nuovo inizio, con negozi che riaprono, attività che riprendono, piccoli eventi allestiti in fretta. È una voglia che scorgi nelle posture orgogliose degli strombolani, barbe incolte e capigliature più che mai abbondanti, e nei volti delle donne solide e tenaci che li governano con discrezione e mano ferma. Mentre gli habitués estivi dell’isola pian piano si riaffacciano in piazza come sopravvissuti (“Ah sei arrivato, allora. Una di queste sere ci vediamo”) e provano a ridare vita alla socialità destrutturata da lapilli, virus e imperizie.

Che poi, da queste parti, dire “socialità”, più che un’esagerazione, è un vero falso. Stromboli è per definizione il luogo del nascondimento, la negazione di qualunque esposizione: è il regno, se vogliamo, del radicalchicchismo assoluto, totale. Altro che il fenomeno annacquato e gravido di sensi di colpa – per dire – di Capalbio, lembo dell’angusta provincia toscana, tappa di passaggio e di espiazione dal pop di Coccia di Morto al trash del Twiga, per citare i luoghi mirabilmente descritti l’altro ieri sul Fatto da Padellaro e sul Corriere da Roncone.
Questo scoglione vulcanico piazzato in mezzo al mare ha invece rafforzato negli anni le sue già solide difese naturali contro la massificazione, e le custodisce nelle stradine impervie e nelle calette raggiungibili a fatica. Esaltata dalla sicilianità, qui la riservatezza è padrona del campo. La distanza dalle estati altrove ostentate è, oltre che fisica, esistenziale, antropologica. E non getta mai sguardi giudicanti sugli altri, né si fa vanto del suo indiscutibile elitismo. Per questo, forse, la “troppità” romana, in ogni sua versione, risulta incompatibile con il luogo. Mentre solo milanesi e napoletani – vai a capire il perché – possono aspirare ad entrare in sintonia con il genius loci.
Fatto sta che solo su questa terra aspra e scura il radical chic è davvero a suo agio, senza fastidiose mediazioni con il mondo. Qui può godersi la mancanza di illuminazione pubblica, che regala un permanente cielo stellato e la possibilità di circolare in mutande anche di notte, scivolando in silenzio nelle case (alcune molto belle) dove ci si vede in pochi, iniziati al culto della caponata di Zurro, dei cannoli e delle granite di Ingrid, e dove finanche un ossuto e spinoso palamito può conquistare meritati quarti di nobiltà. Qui ogni mito si alimenta e si celebra per assenza (“Ma Ricolfi, l’hai mai visto?”. “Sì, una volta dal Marano a fare la spesa…”). E diventa meno prezioso solo se paragonato al radicalchicchismo estremo di Ginostra, dove fino a non molti anni fa non solo non avevi illuminazione pubblica, ma neppure la luce e l’acqua corrente nelle case: un’ebbrezza che, dagli anni ‘70 in poi, chiunque abbia battuto le strade della sinistra autopunitiva e non aveva risorse per raggiungere Machu Picchu, avrebbe voluto provare. Un’estate a Ginostra poteva valere quanto la lettura (purché certificata) del capitolo sesto inedito dei Grundrisse.

Naturalmente la vita del radical chic in purezza strombolano è anche vagamente ma quotidianamente autoflagellatoria. Nelle prime cene settembrine metropolitane ognuno non mancherà di dire “beh, Stromboli è unica, c’è poco da fare”, ma l’espressione ambigua potrà anche riferirsi alle peregrinazioni nei supermercati dell’isola, da frequentare a giorni alterni per trovare i prodotti che cerchi. Un percorso di guerra quest’anno particolarmente problematico per il sottoscritto, dato che la mia furia talebana di stagione prevede una lotta senza quartiere al glucosio e una sopravvivenza legata a proteine sane, con una particolare predilezione per l’albume d’uovo, il cui reperimento è stato assai difficoltoso e ha generato commenti e interrogativi smarriti (“ma perché Velardi va in cerca dell’albume, che ci deve fare?”). Per non parlare dell’improbabile percorso della differenziata, imposto dall’ottusità del politicamente corretto, ma che qui (come a Napoli o a Roma, sia chiaro) non prevede alcuna certezza di raccolta dei rifiuti nei giorni e negli orari dovuti. L’unica certezza è che non sia mai sgarro e sbaglio colore del contenitore, vengo bollato da moglie, figlia e (soprattutto) dagli occhiuti nipoti come distruttore dell’ambiente.

Per fortuna, comunque, c’è il mare, che regala momenti memorabili. Anche se – siate frequentatori di una caletta di Piscità o dello spiaggione di Scari – non dovrete mai vagheggiare l’idea di rendere la realtà strombolana più a misura di persone normali, figuriamoci se un po’ avanti negli anni. Qualche anno fa ci fu un’insurrezione di alcuni fondamentalisti contro la costruzione di un baracchino a Ficogrande: volevano vietare perfino l’innocuo arancino quotidiano e la bottiglietta d’acqua per bambini stravolti dalla calura. Tornava, nelle assemblee infuocate dell’epoca, il tema eterno di Stromboli, come di tante meraviglie italiche. Intervenire. Oppure no. Conservare. Oppure no. Manutenere. Magari sì, ma come. Sforzi per intelletti fini, che la violenza delle ideologie non consente mai di affrontare.
Detta altrimenti: se ambite a cose che banalmente funzionino, al godimento della bellezza con qualche comodità, e che so a turismo programmato, accoglienza professionale e così via, non volgete la prua verso Iddu: questa è una terra speciale, e tale deve rimanere. Non è (absit iniuria verbis…) una terra per riformisti, il grigiore della moderazione e della ragionevolezza qui non è concepibile. E quindi, in fondo, viva il suo radicalchicchismo estremo. Anche quando è minacciato – come quest’anno – da alcuni noti influencer che, secondo i ben informati, se ne stanno imboscati in qualche villa, o dai giovani Z, Alpha (o come cazzo si definiscono al momento le ultime generazioni), che stanno tornando ad animare le notti della spiaggia lunga. L’essenziale – quali che siano gli sviluppi della Grande Ripresa dopo il quadriennio nero – è che Stromboli non trasmuti mai nella sua caricatura capalbiese. Altrimenti finiremmo per ritrovarci da queste parti pure Chicco Testa e Calenda (amici, si scherza, sareste i benvenuti…).