Chi pensava che le fiere del vino fossero superate dovrà ricredersi. Vinitaly 2024 è stato il palcoscenico dei nuovi modelli di consumo del vino italiano: il rapporto con i giovani, l’emersione di nuovi prodotti (dai vini più freschi, ai low alcol, ai dealcolati), le chiusure innovative come il tappo a vite.

E a dispetto della crisi di altri eventi – come il Prowein di Dusseldorf – chiude con 97mila presenze e si conferma solido strumento per la promozione del vino italiano.  Più di 30mila gli operatori esteri da 140 paesi (31% sul totale).

Tra questi 1200 top buyer (+20% sul 2023) da 65 nazioni, invitati e ospitati da Veronafiere in collaborazione con Ice Agenzia. Bilancio positivo anche per Vinitaly Plus, la piattaforma di matching tra domanda e offerta con 20mila appuntamenti business, raddoppiati in questa edizione, e per il fuori salone Vinitaly and the city, che ha superato le 50mila degustazioni. Sul fronte delle presenze estere a Vinitaly 2024, gli Stati Uniti si confermano in pole position con 3700 operatori presenti in fiera (+8% sul 2023).

Seguono Germania, Uk, Cina e Canada (+6%). In aumento anche i buyer giapponesi (+15%). “I dati della manifestazione, unitamente al riscontro positivo delle aziende, confermano i nostri obiettivi industriali: restiamo impegnati a potenziare il brand fieristico del made in Italy enologico nel mondo”, dice Federico Bricolo, presidente di Veronafiere. La 57^ edizione di Vinitaly si terrà sempre a Verona dal 6 al 9 aprile 2025.

Secondo il focus dell’Osservatorio Uiv presentato nel corso della manifestazione veronese, il calo dei consumi di vino italiano negli Usa (-13% le importazioni a volume nel 2023) è dettato in primis dall’indirizzo salutista delle giovani generazioni, oltre che dalla forte competizione di nuove bevande low alcohol e da una questione demografica che vede la popolazione di bianchi diminuire in favore di altre etnie, a partire dagli ispanici, culturalmente meno orientati ai consumi tradizionali di vino.

“I vini low alcohol – dice il responsabile dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, Carlo Flamini negli ultimi anni sono stati protagonisti di una cavalcata che li ha portati a essere una scelta non più secondaria nell’evoluzione del gusto degli americani, e oggi valgono circa un miliardo di dollari. A ciò si aggiungeranno sempre più altre tipologie attente alla propria dieta per un target prevalentemente giovane: i vini low sugar, per esempio, hanno registrato crescite astronomiche nel giro di un quinquennio: da 10 milioni di dollari del 2019 ai 270 dell’anno appena chiuso”.

I no alcol sono ancora una nicchia (62 milioni di dollari val valore cresciuto di sette volte negli ultimi quattro anni), ma le vendite di vini senz’alcol provenienti dall’Italia hanno sovraperformato il mercato nel 2023, sia a volume (+33% contro +8%), sia a valore (+39% contro +24%). Il prezzo medio di un alcohol-free wine è leggermente superiore a quello di un vino tradizionale: 12.46 dollari al litro contro 11.96 nel 2023.

“In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate; negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato Nolo (no e low alcohol) vale già un miliardo di dollari. Ma l’Italia in questo caso gioca un ruolo residuale, perché – contrariamente a quanto già succede da due anni tra i colleghi nell’Ue – non è ancora possibile per le imprese elaborare il prodotto negli stabilimenti vitivinicoli e non sono state fornite indicazioni agli operatori sul regime fiscale. In estrema sintesi, il prodotto può circolare anche in Italia (come in tutta l’UE), ma i produttori italiani non possono produrlo”.

A parlare è Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini (Uiv) che spiega il paradosso italiano: i produttori fiutano il nuovo business, ma il ministero si oppone e ritarda la formulazione della disciplina necessaria per regolare il settore. Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, fa muro: “Qualcuno sostiene che il dealcolato ci permetterà di aprire ad una nuova fetta di mercato: io guardo a questa affermazione con un certo sospetto. Da parte mia non ci sarà nessuna incentivazione alla promozione del dealcolato”, dice prima in un’intervista al Gambero Rosso e poi conferma nel corso degli eventi del Vinitaly.

Accade così che alcune imprese pionieristiche come, per esempio, Argea, Doppio Passo, Hofstatter, Mionetto, Schenk, Varvaglione, Zonin, sono costrette a dealcolare all’estero. “Non possiamo ignorare questi segnali che giungono dal mercato. Con l’impasse normativa l’Italia viene svantaggiata: è importante mettere le aziende nelle condizioni di intercettare e soddisfare le scelte dei consumatori producendo in Italia questi nuovi prodotti così da mantenere nel nostro Paese tutto il valore aggiunto creato. Francia e Spagna, ma anche Germania e Austria già stanno avanti”, accusa Micaela Pallini, presidente di Federvini.

Come riporta l’Osservatorio Federvini, curato da Nomisma e TradeLab, i volumi di vino dealcolato continuano a crescere in Usa (+16%) e in Germania (+6%). E le aziende locali pertanto hanno cominciato a cavalcare l’onda. E in Italia? “Se non puoi fare il prodotto non ti puoi nemmeno sedere al tavolo di chi fa le regole. Inoltre, non possiamo apportare al prodotto i miglioramenti che verrebbero dalla ricerca”, spiega Micaela Pallini.

Del resto, il fenomeno è destinato a estendersi anche in Italia. “Per rendersi conto che questo non è un settore passeggero, ma è un trend destinato a restare e consolidarsi, basta aprire un qualsiasi motore di ricerca: non è moda. Sono stati i più giovani a far esplodere il trend”, assicura Martin Foradori Hofstätter, produttore di vino altoatesino e proprietario dell’omonima cantina.

Tra le sue referenze, nell’ambito della linea Steinbock, ci sono due versioni dealcolate a base di Riesling: la bollicina Steinbock Zero Sparkling e il fermo Steinbock Zero. Come spiega Riccardo Grassi, analista, riportando l’indagine realizzata da Swg su un campione rappresentativo di italiani, “questi prodotti interessano prima di tutto un potenziale di un milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene una alternativa di consumo in situazioni specifiche, come mettersi alla guida”.

Una tipologia che potrebbe essere un nuovo alleato anche per il vigneto Italia: “Sentiamo sempre più spesso parlare di espianti finanziati – aggiunge Castelletti di Uiv – ma le imprese, che negli ultimi anni hanno ristrutturato metà del proprio vigneto (310 mila ettari) con erogazioni pubbliche pari a 2,6 miliardi di euro, vogliono continuare a svolgere il proprio lavoro, magari riducendo le rese, puntando ancora di più sulla qualità e – perché no – potendo contare su un nuovo asset di mercato come quello dei Nolo che interesserebbe aree produttive più in difficoltà”.

Ancora una volta, la variabile ‘giovani’ risulta determinante. Secondo Swg, la quota di attenzione verso i vini dealcolati (21%) è più alta nella fascia dai 18 ai 34 anni (28%), il target a maggior contrazione dei consumi di vino che nel 79% dei casi dichiara “importante” se non “molto importante” o “fondamentale” poter ridurre i problemi legati all’abuso di alcol mettendo a disposizione dei consumatori prodotti a zero o bassa gradazione.

La generazione Z sta dimostrando grande attenzione verso una tipologia in grado di rispondere a un pubblico sober curious sempre più numeroso, negli Stati Uniti e nel mondo. L’Italia deve essere in grado di capire prima di tutto sul piano culturale che un prodotto non sostituisce l’altro e insistere su una sperimentazione che può riservare risultati molto interessanti”, assicura Marzia Varvaglione, la presidente di Agivi, l’associazione dei giovani viticoltori italiani dell’Uiv.

E proprio per rispondere a questa nuova domanda del mercato, anche il Vinitaly comincia ad aprire le porte ai dealcolati. “Stiamo spingendo il Governo a prendere una decisione sul tema. Il nostro compito sarà quello di promuovere questa scelta. Sicuramente negli anni futuri il no alcol avrà il suo spazio”, promette Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere.

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