Verso il taglio dei parlamentari
Abbiamo il Parlamento più scadente della storia, e se vince il Sì sarà peggio
#IOVOTONO è l’hashtag che da settimane sto veicolando sui social. La mia è una posizione fortemente ragionata e di assoluta convinzione, ritenendo che la legge sul taglio dei parlamentari sia una pessima legge, sostenuta da una evidente eterogenesi dei fini e da una pseudo-cultura politica fondata esclusivamente sul risentimento populista e demagogico contro la politica e i partiti. Quel testo non solo non pone rimedio (e nemmeno uno) agli innegabili problemi di qualità della classe parlamentare, ma finisce con l’aggravare la già evidente assenza di reale rappresentanza degli elettori e dei cittadini in genere nelle aule in cui si dovrebbe legiferare nel loro esclusivo interesse. La riduzione del numero dei parlamentari – è dato ormai evidente e abbandonato perfino dai sostenitori del sì – non porta alcun reale risparmio di risorse pubbliche ma ha il solo, perverso e antidemocratico effetto di ridurre drasticamente la rappresentanza popolare nel Parlamento.
In realtà, chi ha puntato su questa legge e ha attuato questo disegno mira ad altri e ben diversi e pericolosi obiettivi. Il primo è certamente quello di concentrare ancor più nelle segreterie dei partiti e dei movimenti il potere di scelta di coloro che dovranno sedere in Parlamento, aumentando a livelli folli il potere di controllo su di essi e, cosa addirittura peggiore, riducendone ancor più la qualità personale e politica. Infatti, se già oggi le scelte delle segreterie politiche al momento delle candidature hanno portato in Parlamento la peggiore classe politica mai vista per incapacità e inefficienza oltre che per appiattimento sulle linee dei capi partito, tale devianza diverrà ancor più forte ed evidente con la riduzione del numero dei parlamentari. Del resto, candidati (e poi parlamentari) di qualità e comprovata capacità, idonei a intercettare il consenso degli elettori in nome di un programma, non servono con una legge elettorale come quella vigente e serviranno ancor meno con quella in via di trattativa tra gli attuali partiti di governo.
E questa considerazione ci porta a un altro punto cruciale, quello della eterogenesi dei fini del “taglio”. Esso, infatti, avrebbe forse potuto avere un minimo di senso se fosse stato accompagnato da un chiaro, leale, coraggioso e vigoroso ritorno a una legge elettorale basata sui capisaldi del maggioritario e delle preferenze da attribuire a candidati da eleggere in collegi elettorali. Un tale sistema, invero, avrebbe permesso di rimediare al taglio numerico riportando al centro della competizione elettorale candidati di qualità, idonei a intercettare il consenso degli elettori. Ciò che viene oggi, con il taglio, assassinato è proprio il principio fondante della democrazia parlamentare: il rapporto diretto e reale tra il candidato, poi eletto, e i suoi elettori. E l’attuale numero dei parlamentari è tale proprio perché volto a garantire un rapporto quanto più effettivo possibile tra deputati e senatori, da una parte, e i loro elettori, dall’altra.
Un numero eccessivamente ridotto di parlamentari, soprattutto senza un valida legge elettorale, allarga a dismisura le teorica platea di cittadini rappresentati da ogni parlamentare (numero che verrebbe quasi raddoppiato) senza peraltro avere, con l’attuale legge elettorale, nemmeno una teorica possibilità né di scelta del deputato o senatore da eleggere né di un minimo di identificazione e di rapporto diretto con il “proprio” parlamentare, che, di fatto, non esisterebbe. I parlamentari non sarebbero “dei cittadini” ma “dei partiti”! E il problema sarebbe devastante per i cittadini del Sud, sia per la loro necessità di avere un maggior numero di parlamentari, che verrebbe negato con il taglio, sia per la nota gravità ed entità dei problemi del Mezzogiorno che troverebbero una voce e un’attenzione molto minori, per non dire inesistenti, in un Parlamento “tagliato”. A questo proposito, mi piace portare la mia personale esperienza. Fui eletto senatore per la 14esima legislatura in un collegio e con le preferenze.
Fui votato da circa 45mila cittadini che scrissero il mio nome e cognome sulla scheda, dopo una campagna elettorale in cui ognuno di essi ebbe modo di vedermi, di ascoltarmi, di toccarmi, di pormi domande, di avere con me almeno un contatto telefonico. E questo rapporto intimo e stretto, ancorché molto faticoso, continuò per tutti i cinque anni della legislatura. Tutto ciò, con il taglio, sarebbe ancor più impossibile di quanto già non lo sia oggi con la vigente legge elettorale. E proprio qui sta l’eterogenesi dei fini dei sostenitori del sì. Essi, infatti, in realtà, con il taglio tendono a recidere e a rendere definitivamente impossibile qualsiasi reale rappresentanza e, quindi, a snaturare e sostanzialmente narcotizzare la democrazia rappresentativa, se non a ucciderla, in modo occulto e silenzioso. È a tutto ciò che dobbiamo opporci, sventando questo disegno con il voto al referendum. Perciò #iovotono.
© Riproduzione riservata