Sos migranti
“Abbiamo invaso l’Africa e ora perseguitiamo chi la lascia”, intervista a Padre Camillo Ripamonti
L’Africa di Francesco, la logistica della crudeltà che riduce esseri umani a pacchi da spostare da La Spezia a Foggia. Due visioni opposte sul tema dell’accoglienza e dell’inclusione. Il Riformista ne discute con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati.
L’Africa colonizzata, l’Africa demonizzata. Ma anche l’Africa che guarda al futuro e che rivendica diritti e dignità. È l’Africa che papa Francesco ha abbracciato nel suo viaggio nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan. Padre Ripamonti, qual è il messaggio più forte lanciato dal Papa in questo viaggio pastorale?
Uno dei messaggi più forti è quello di non dimenticare l’Africa. Molto spesso negli ultimi dodici mesi abbiamo puntato, giustamente, l’attenzione sulla guerra in Ucraina. dimenticando, però, che attualmente ci sono 47 focolai di guerra nel mondo e molti di questi sono in Africa. La Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan sono due scenari in cui da anni si consumano queste guerre. Il Papa con il suo viaggio ha acceso i riflettori sulla situazione di un continente che è ricco di speranza, perché ha una popolazione molto giovane, ha tante risorse, ma al tempo stesso è un continente dilaniato da guerre intestine e anche da quello che lui definisce un colonialismo economico. Papa Francesco lo ha ricordato anche nel suo discorso all’arrivo nella Repubblica Democratica del Congo: giù le mani dall’Africa. L’Africa viene depredata delle sue risorse. È questo il messaggio più profondo che Francesco indirizza al mondo: non dimenticare l’Africa ma riportarle al centro. I giovani che la popolano ci aiutano a pensare al futuro in termini di giustizia sociale, di cooperazione e di dialogo.
Parlare di Africa riporta al tema delle migrazioni e di come noi Europa, noi Italia ci rapportiamo a questo fenomeno in crescita. Gli ultimi episodi, come quello che ha riguardato migranti salvati dalla Geo Barents, ci raccontano di quella che è stata definita efficacemente la “logistica della crudeltà”: esseri umani, tra cui donne e bambini, fatti sbarcare a La Spezia e poi trasportati come pacchi in un bus a Foggia.
Prima di partire per il suo viaggio in Africa, papa Francesco ha salutato alcuni rifugiati ospiti del Centro Astalli, il segno della ferita di un continente. Le guerre, i cambiamenti climatici, il colonialismo economico determinano quelle disuguaglianze, quell’impossibilità di vivere a casa propria che spinge così tante persone forzatamente a partire. Questo come Europa non lo capiamo. E ci ostiniamo a parlare di difesa dei confini, quando in realtà quelle da cui intendiamo difenderci sono persone disarmate, disarmate dalla violenza che noi abbiamo perpetrato nei loro confronti, che arrivano sulle coste dell’Italia e dell’Europa. Finché non le considereremo come persone, come soggetti che hanno il diritto di vivere felici come lo facciamo noi, continueremo a mettere in atto quelle azioni che cercano di dissuadere. Noi difendiamo i confini piuttosto che le persone, le spostiamo come fossero dei pacchi. Finché non rimetteremo al centro non solo del nostro agire ma anche del nostro pensare, l’importanza della dignità e del rispetto delle persone, noi continueremo a non capire la portata di quello che stiamo facendo rendendoci complici delle violenze che queste persone hanno subìto e continuano a subire.
Mettere al centro la dignità e il rispetto della persona significa anche affrontare temi che spesso sono colpevolmente dimenticati, dalla politica come dall’informazione. Uno di questi temi cruciali è quello dell’accoglienza e dell’inclusione.
L’accoglienza va unita strettamente all’inclusione. Non è questione di avere un tetto da mettere sopra a queste persone. Sono persone in cerca di un futuro. Un futuro che si costruisce con noi. Finché non entriamo nella logica che l’accoglienza è parte integrante del lungo processo di inclusione, che c’interroga anche sul cambiamento dei nostri stili di vita con persone che vengono da altre parti del mondo, finché non uniamo queste due cose rischiamo sempre di preoccuparci di dove posizionare queste persone nel territorio nazionale e non farle invece diventare parte attiva delle nostre comunità e di un futuro che è di tutti.
Una logica emergenzialista e securitaria è quella che ispira il Decreto migranti varato dal governo e ora in discussione in Parlamento.
Purtroppo si continua a reiterare l’equazione che assimila i problemi di sicurezza interna al tema delle migrazioni, in particolare delle migrazioni forzate, che richiederebbero invece un diverso sforzo legislativo, lungimirante e sistematico, in termini di programmazione, gestione e integrazione dei migranti. Continua ad essere messa in atto una sistematica criminalizzazione della solidarietà, prevedendo sanzioni amministrative per comportamenti che invece sono coerenti con i principi costituzionali e la normativa internazionale. La limitazione, se non l’interdizione, per motivi di sicurezza all’approdo delle navi, con conseguenti sanzioni per chi non rispetti tali divieti, di fatto, colpisce coloro che, rispondendo all’obbligo di soccorso in mare, sono impegnati nel salvataggio di vite umane, altrimenti destinate alla morte. Ancora una volta vengono attuate nei confronti dei migranti politiche discriminatorie, dando il via libera a intercettazioni e all’utilizzo di agenti sotto copertura per impedirne l’arrivo e sottoporli a controllo. Il Fondo per i rimpatri così previsto rischia di piegare gli aiuti per la cooperazione a interessi nazionali, più che mirare a realizzare attraverso essi a obiettivi di sviluppo, senza considerare i concreti rischi di violazione dei diritti umani per i migranti in molti dei paesi di origine. Si tratta di un ulteriore passo indietro rispetto a quelli già compiuti nei mesi passati. A farne le spese sono ancora una volta i migranti. Non è più accettabile che la partita politica si giochi sulle vite di persone che fuggono dal loro paese a causa di disuguaglianze, mancanza di diritti, e guerre. Aiutare chi rischia di morire in mare è un atto di generosità, di umanesimo, e non un reato da perseguire. Le attività di salvataggio delle navi Ong andrebbero sostenute e non criminalizzate o rese sempre più insostenibili.
L’Europa, e in essa l’Italia, sembra ossessionata, al di là della coloritura dei governi dei singoli paesi dell’Ue, sempre e solo dall’esternalizzazione delle frontiere. Il che ci porta a interloquire con dittatori, autocrati, della sponda sud del Mediterraneo e dell’Africa, che riempiamo di soldi perché facciano il lavoro sporco, come quello dei respingimenti, al posto nostro.
Finché non affronteremo nella sua complessità il fenomeno migratorio, garantendo il diritto a restare nella propria terra e dunque investendo nella crescita dei paesi in via di sviluppo e non consideriamo che quelli che queste persone affrontano viaggi che creano delle situazioni di violenza indicibili, finché rimarremo prigionieri e complici di una logica emergenzialista, continueremo a stringere accordi con chi è fuori dai confini perché faccia il lavoro sporco al posto nostro, non curandoci minimamento del trattamento che queste persone continuano a subire in centri di detenzione, come quelli in Libia, che sono alle porte dell’Europa, ma non al suo interno. E per questo noi chiudiamo gli occhi e non li guardiamo. Ma questo ci rende comunque complici di violenze indicibili che continuano ad essere perpetrate su queste persone che scappano per le ingiustizie che hanno vissuto nei loro paesi. Nel viaggio in Africa, Papa Francesco ha fatto una citazione da Sant’Agostino che è di una durezza impressionante. Citando Sant’Agostino, ha detto: «Se non viene rispettata la giustizia che cosa sono gli stati se non delle grandi bande di ladri? Un’affermazione durissima nei confronti dei paesi che non rispettano la giustizia. L’ha detto in Africa, ma potremmo estenderlo a tutti i paesi nei quali l’attenzione alla persona e alla giustizia non fa parte delle politiche di chi li governa. Invocando la pace, Francesco ha ribadito che essa non può essere scollegata alla giustizia. Una pace o è nella giustizia o non è.
Papa Francesco abbina spesso al concetto di pace giusta quello, altrettanto dirompente, della non esistenza di una guerra giusta.
In Africa, Francesco ha avuto uno storico incontro con le vittime della zona est della Repubblica Democratica del Congo. E in quell’incontro così toccante, lui ha detto che bisogna disarmare il cuore. Perché altrimenti noi ci convinceremo mai che non esistono guerre giuste. Le guerre sono tutte ingiuste. Le guerre sono l’ultima ratio di una diplomazia che non è stata gestita e dispiegata fino in fondo. Illudendosi che la guerra sia l’unica via di uscita. E invece non bisogna mai rassegnarsi all’idea che la guerra sia la soluzione del problema. La guerra non fa altro che complicare i problemi. Bisogna fare di tutto per disarmare i cuori delle persone da entrambi i lati. Questo non vuol dire non tenere conto delle responsabilità delle parti. Vuol dire che bisogna costantemente percorrere quelle vie che non ci portano alla guerra. Che disarmano. Il rischio è che ci si convinca che gli armamenti, l’escalation armata e quindi la guerra siano una soluzione. La guerra non fa altro che complicare le situazioni dei paesi, devastarli e creare delle vittime che vanno ad ingrossare – siamo ad oltre cento milioni – il numero delle persone che si muovono a causa delle guerre, molte delle quali colpevolmente ignorate.
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