Il giovane non venne mai informato della decisione del Tribunale
Abdel morto legato al San Camillo, giudice aveva respinto la richiesta di rimpatrio: “Doveva essere liberato”
Emergono nuovi dettagli sulla vicenda di Wissem Ben Abdel Latif, il 26enne tunisino morto al San Camillo lo scorso 28 novembre in circostanze ancora da chiarire.
Un giudice aveva deciso che non doveva essere più rimpatriato e di conseguenza il 24 novembre avrebbe dovuto lasciare il Centro di rimpatrio di Ponte Galeria. La decisione venne notificata al Cpr, dove si trova un distaccamento dell’ufficio immigrazione, ma ad Abdel, che era già ricoverato all’ospedale Grassi di Ostia, non arrivò mai questa informazione, scrive Repubblica.
Un altro tassello si aggiunge alla storia del giovane che coltivava il sogno di raggiungere la Francia per poter avere un futuro migliore. La documentazione è stata ora acquisita da Francesco Romeo, avvocato della famiglia di Abdel. “Le indagini faranno chiarezza. La tragica morte del giovane Wissem poteva e doveva essere impedita” sono le sue parole riportate da Repubblica. Il legale ha anche richiesto alla Procura le immagini delle videocamere presenti nella stanza di Abdel sia all’ospedale Grassi che al San Camillo.
Secondo la nuova perizia disposta dalla Procura, che indaga per omicidio colposo, Abdel sarebbe stato legato al letto anche il 23 e 24 novembre, durante il ricovero al Grassi, e non solo nell’ospedale sulla Gianicolense dove è deceduto. Intanto anche la Regione ha avviato un’indagine interna sulle due strutture in cui il migrante tunisino ha trascorso i suoi ultimi giorni di vita.
La ricostruzione della storia
Abdel arriva in Italia i primi di ottobre; dopo un periodo su una nave quarantena ad Augusta, in Sicilia, il 14 ottobre entra al Cpr di Ponte Galeria. Dopo circa dieci giorni lo psicologo del centro chiede una visita psichiatrica per ‘comportamenti aggressivi’ che però, secondo la famiglia, Abdel non aveva mai avuto.
L’8 novembre lo psichiatra dell’Asl evidenzia un ‘disturbo schizoaffettivo’ e gli prescrive dei farmaci che poi, ad un certo punto, Abdel rifiuta di prendere. Con una seconda perizia psichiatrica, eseguita il 23 novembre, viene ordinato il ricovero ospedaliero: ma non è chiaro cosa sia successo quel giorno.
Il 26enne viene così portato in ambulanza prima al Grassi e poi, il 25, viene trasferito presso il reparto psichiatrico del San Camillo. Qui, secondo le cartelle cliniche, segue una terapia con due antipsicotici e un ansiolitico. Per almeno cinque giorni durante i due ricoveri, ricostruisce Repubblica, vengono applicate le ‘misure di contenzione’ e quindi Abdel viene legato con le mani e i piedi al letto. I controlli alle cinture si fermano al 27 mattina. Il 28 novembre alle 4:20 Abdel viene dichiarato morto dopo sette tentativi di rianimazione.
Secondo alcune testimonianze il 26enne sarebbe stato picchiato tra il 18 e il 23 novembre, forse per aver girato dei video di denuncia delle condizioni in cui venivano tenuti i migranti nel Cpr di Ponte Galeria, poi pubblicati su Facebook da un connazionale a cui il giovane li aveva inviati.”Un agente lo ha portato via. È tornato con la testa gonfia” ha raccontato uno dei testimoni.
La famiglia chiede giustizia
La Procura viene avvisata del decesso di Abdel solo il giorno dopo, il 29 novembre. Ma nessuno informa invece i familiari che vivono a Kebili, in Tunisia.
Tra il 2 e il 3 dicembre viene eseguita l’autopsia sul corpo del giovane, quando ancora né i genitori né la sorella sono a conoscenza della sua morte: “una grave superficialità” secondo l’avvocato Romeo. Da quel giorno la famiglia porta avanti la propria battaglia per conoscere la verità e avere giustizia.
© Riproduzione riservata