L’Iran sta chiedendo all’Italia di sottrarsi alla politica Usa sugli ostaggi per evitare “danni” alle relazioni tra i nostri due Paesi. Ma sarebbe un triplo salto mortale senza rete, quello che viene richiesto oggi al ministro Carlo Nordio sul caso Abedini-Sala. Perché se è vero che l’articolo 718 del codice di procedura penale recita che la revoca delle misure cautelari, come quella richiesta per l’ingegnere iraniano esperto di droni e accusato di terrorismo dagli Usa, “è sempre disposta se il ministro della giustizia ne fa richiesta”, è altrettanto vero che in questo modo l’iniziativa politica del governo si troverebbe a scavalcare la decisione della magistratura.

Il precedente Artem Uss

Prima di tutto perché la procura generale di Milano ha già dato parere negativo alla concessione degli arresti domiciliari, e poi perché la corte d’appello ha già fissato per il 15 gennaio la data per questa prima decisione. Poi ci sarà l’altra, quella sull’estradizione negli Stati Uniti. E non giova alle diplomazie domestiche tra le toghe e la politica il precedente dell’evasione del russo Artem Uss che era fuggito dagli arresti domiciliari accordati proprio dalla corte d’appello di Milano contro i quali il ministro Nordio aveva sollecitato l’apertura di un provvedimento disciplinare presso il Csm. E anche se la richiesta non aveva avuto seguito, l’iniziativa del governo aveva inasprito a lungo i rapporti con il sindacato delle toghe. Ma è corsa contro il tempo.

Cecilia Sala, il tempo che passa

Fate presto, aveva invocato Cecilia Sala dalla sua cella iraniana dove dorme sul pavimento di un piccolo spazio claustrofobico. E oggi i suoi genitori, dopo che la mamma aveva incontrato la presidente del consiglio Giorgia Meloni, chiedono un “silenzio stampa” che significa evitare polemiche con il governo o con l’intelligence che lavora alacremente neanche tanto sotto traccia. Ma il “fate presto” è oggi la base di ogni trattativa, di questa strana triangolazione che va dagli Usa che reclamano l’estradizione del tecnico informatico Mohammad Abedini, fino all’Iran che tiene prigioniera la nostra giornalista Cecilia Sala nel carcere di Evin in attesa di uno scambio di ostaggi, e fino al governo italiano e al complicato rapporto con la nostra magistratura.

Domiciliari, ambasciata, estradizione

È la corsa contro il tempo che tiene insieme le tre parole, come ha detto ieri il viceministro Paolo Sisto, domiciliari, ambasciata, estradizione, su cui si sta giocando la partita. E che partita. Il primo tempo è quello che ha ben individuato Elisabetta Vernoni, la mamma di Cecilia, e come ha prontamente ribadito il ministro Antonio Tajani. È indispensabile che alla giornalista italiana vengano subito concesse condizioni di detenzione degne di un Paese civile, parliamo di un cella, un letto, cibo e tutti gli strumenti di prima necessità per la persona. Cosa che finora non è accaduta.

La disparità di trattamento

Le autorità iraniane, ci associamo alla richiesta della signora Vernoni, devono mettere la prigioniera in condizione di non essere traumatizzata tutta a vita per quel che le sta succedendo in quel buco buio di Evin. Primo tempo è quindi rispetto dei diritti, e anche parità di diritti. Perché in Italia Mohammad Abedini ha potuto addirittura cambiare tre istituti di pena fino ad approdare a Opera, secondo la scelta del consolato milanese dell’Iran. Primo tempo è anche il diritto alla difesa, perché Cecilia Sala ha avuto fino a ora solo un’imputazione generica e non ha incontrato un avvocato, l’opposto del trattamento riservato al suo omologo in Italia.

Il pugno di ferro USA

Ma primo tempo dovrebbe essere anche quello della giustizia. E qui la cosa si complica perché tornano in piena luce le tre parole evocate dal viceministro Sisto, domiciliari, ambasciate, estradizione. Perché da una parte ci sono gli Stati Uniti, il Paese dove la giustizia funziona ma in cui il pugno di ferro sul terrorismo si spinge fino a troppe deroghe sui diritti individuali, che vogliono a tutti i costi l’ingegnere esperto di droni perché accusato di complicità con i terroristi che un anno fa hanno ucciso in Giordania tre soldati americani. E dall’altra c’è il regime iraniano che ha già messo a disposizione, tramite il consolato milanese, un appartamento per i domiciliari di Abedini garantendo che non fuggirà.

Così il governo scavalca la magistratura

Qui si innestano i problemi del terzo incomodo, l’Italia, con i suoi storici problemi magistratura-giustizia. Che impone di rispettare i tempi della giustizia, pressando nel frattempo per la parità dei diritti dei due detenuti. E sfruttando l’unico argomento forte finora esistente per ridurre a ragione le richieste degli Usa: il fatto che l’accusa mossa nei confronti di Abedini da parte del tribunale del Massachusetts di aver aiutato il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, considerata organizzazione terroristica, non è considerata reato in Italia, in quanto quel gruppo non è presente nella black list dell’Onu né dell’Unione Europea. Ma occorre sempre tener presente il “fate presto” di Cecilia Sala. Anche perché il 20 gennaio entrerà alla Casa Bianca Donald Trump, e potrebbero cambiare gli interlocutori delle diplomazie internazionali. Le carte si giocheranno tutte tra il 15 e il 20 di questo mese, dunque. Cinque giorni per ridare quel soffio di vita che ora le è negato a una coraggiosa giovane donna, una giornalista italiana.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.