«Se il Papa sapesse cosa significa, mi chiederebbe scusa». È dopo avere sentito Francesco paragonare l’aborto ai crimini nazisti, che l’autrice ha deciso di raccontare la sua storia. Ne Il Consolo Orsola Severini, scrittrice esordiente, racconta come la sua vita apparentemente perfetta di giovane madre di due bambini, che trascorre il suo tempo tra il mondo del marketing e il volontariato, entra in crisi il giorno in cui è costretta a effettuare – anzi a “subire” – un aborto terapeutico e le sue conseguenze.

Al terzo mese di gravidanza un’ecografia rivela che il feto è affetto da una patologia incompatibile con la vita e la donna decide di abortire il prima possibile. «Una scelta d’amore, in primis nei confronti del bambino che portavo in grembo per risparmiargli qualsiasi tipo di sofferenza, ma anche nei confronti dei miei figli che avevano bisogno di me» – racconta l’autrice. Fare l’interruzione si rivela complicatissimo e straziante; tra ginecologi obiettori che la rimandano a casa e pochi medici che, invece, non obiettano e si trovano costretti ad effettuare solo Ivg (interruzioni volontarie di gravidanza) in perenne sottorganico e in reparti fatiscenti che diventano delle specie di “catene di montaggio” dell’aborto. Nonostante la protagonista provenga da una situazione di privilegio, il peso di una società moralista e giudicante è quasi insostenibile. Per questo Orsola ha sentito l’esigenza di mettere in chiaro le cose attraverso un interessante e, forse, necessario romanzo autobiografico pubblicato da Fandango Libri (pp. 167, euro 16).

E così una vita serena e apparentemente normale si schianta contro il girone dantesco di chi vuole abortire in Italia dove, nonostante la legge ci sia, a mancare è la cultura laica in un mondo in cui le donne possono compiere le proprie scelte serenamente e in maniera libera. Il gioco raffinato del racconto unisce il lutto sopito per la morte del padre, medico impegnato e anticonvenzionale (con cui la donna ha avuto un rapporto di amore e odio) e quello per il figlio mai nato che lei si trova a dovere “uccidere” perché, al di là dell’impossibilità della sua sopravvivenza, quel bambino voluto e già amato sta talmente male da potere mettere a rischio la vita di entrambi. Lo scontro con quella categoria di medici obiettori e gli ospedali pubblici è terribile: l’ombra caliginosa del retropensiero cattolico è ovunque e il libro della Severini è insolitamente sincero e duro, nonché piacevolmente spietato nel descrivere un mondo di donne fragili sostenute da pochissimi piccoli eroi che fanno il proprio lavoro in condizioni quantomeno complicate e diventano l’unico faro di speranza in un mondo dove gli “uomini – preti” dettano cosa sia giusto rispetto alla tutela della vita. Il dolore dell’autrice e il suo razionalismo vengono comunicati al lettore attraverso un racconto emozionante e commovente.

Il consolo del titolo è quello che Orsola vive insieme a suo marito e ai due figli piccoli nella Calabria dove è nato suo padre: una pratica in cui gli amici di famiglia, fanno arrivare pranzi e cene nella casa della persona scomparsa per evitare che i familiari siano obbligati a dovere occuparsi di altre cose materiali come il cucinare, ad esempio.
Nel centenario della nascita di Adele Faccio, la leader radicale che più di ogni altra si è battuta in favore dell’aborto, il libro della Severini dà vita ad un’epica postmoderna basata sulla ricerca delle radici e della propria identità dinanzi ad un dolore fortissimo come la perdita obbligata di un bambino che, come scrive l’autrice: «Non è mai nato, ma non è come se non fosse mai esistito». Tutto questo avviene nella Roma del Ventunesimo secolo e non nella provincia italiana degli anni Cinquanta o Sessanta e questa consapevolezza rende “Il Consolo” un volume necessario per denunciare chi, nella nostra società, ancora mette non solo a repentaglio i diritti delle donne (e non solo) ma anche la vita delle persone più fragili.