La sentenza apre un conflitto
“Aborto, la Corte Suprema sfida le donne e il governo”, intervista a Massimo Teodori
L’Alta Corte americana all’attacco delle donne. Il lascito di Trump e un nuovo fronte aperto per Joe Biden, già impelagato nella guerra ucraina. Il Riformista ne discute con Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti. Di recente ha pubblicato La parabola della Repubblica. Ascesa e declino dell’Italia liberale (con Angelo Panebianco, Solferino, 2022). “Se vi sarà una sentenza della Corte secondo i principi enunciati nella bozza in circolazione – rimarca Teodori – si produrrà una catena di effetti che inciderà sulla vita individuale, politica e istituzionale riguardante non solo la vita di tutte le americane, ma anche l’equilibrio del sistema istituzionale”.
Professor Teodori, la Corte Suprema, come rivelato da “Politico”, intende votare per annullare la legge del 1973 che garantisce il diritto all’aborto negli Stati Uniti. Qual è la valenza politica di questa determinazione?
Se la bozza in circolazione diventerà sentenza, non c’è dubbio che avrà un impatto molto importante per la vita degli Stati Uniti e non solo relativamente al problema dell’aborto.
Perché?
La storica sentenza del 1973, Roe vs Wade, era una sentenza che partiva dal presupposto che le donne dovessero disporre del loro corpo e non dovessero seguire un’etica dettata dai pubblici poteri. Ma soprattutto, altra ragione d’importanza, colpiva un punto importante della storia degli Stati Uniti, vale a dire il rapporto fra gli Stati e il potere federale. Nel senso che fino al 1973, ogni Stato aveva una propria legge sull’aborto, per cui c’erano gli Stati iper conservatori, restrittivi e proibizionistici, e gli Stati ultra liberali. Ognuno andava per conto suo. Quella sentenza, che non è una legge ma per l’appunto una sentenza della Corte Suprema, sopravanzava e annullava tutto il diritto di tutti gli Stati di emanare delle leggi relative all’aborto. Quella sentenza interveniva non solo nel merito del diritto delle donne all’aborto, ma anche su chi ha il diritto di legiferare su tale materia. In questo si è trattato davvero di una svolta storica, perché la sentenza Roe vs Wade obbligava i singoli Stati, soprattutto del sud e dell’ovest, ad attenersi alla sentenza generale della Corte federale.
In questa ottica, quali sarebbero gli effetti se questa bozza diventerà una nuova sentenza?
L’effetto fondamentale sarebbe quello di ribaltare il concetto del rapporto fra il diritto degli Stati e il diritto federale. Nel senso che verrebbe ridato ai singoli Stati la prerogativa di legiferare sull’aborto. Tant’è vero che il Mississippi, lo Stato che ha promosso questo conflitto di fronte alla Corte Suprema federale, non l’ha fatto solo e tanto perché contrario al diritto all’aborto così come sancito dalla sentenza del 1973, ma soprattutto sostenendo il fatto che su quella materia è lo Stato che deve legiferare e che il Governo federale non ha voce in capitolo. L’aspetto istituzionale si aggiunge a quello di contenuto, sostanzialmente alla restrizione del diritto di aborto. Vedremo come legifereranno i singoli Stati, se la bozza che circola si trasformerà in sentenza. È già annunciato che 28 Stati, quelli del sud e dell’ovest, legifereranno come ha indicato il Mississippi, nel momento in cui dovesse venire annullata la potestà di carattere federale. L’aspetto generale, insisto a battere su questo tasto, è molto importante perché la destra trumpiana non si limiterà all’attacco sull’aborto…
Vale a dire, professor Teodori?
La destra trumpiana punta tutto sul fatto di ridare maggiore diritti agli Stati e di toglierli al Governo federale. Facciamo un passo indietro nel tempo: l’assalto Capitol Hill del gennaio 2021, tendeva al fatto di dire che i risultati, Stato per Stato non devono essere vagliati con la norma costituzionale-federale per cui è il Congresso che legittima il risultato di tutti gli Stati, ma sono gli Stati stessi che devono legittimare i propri risultati, e nessuno può metterli in discussione, togliendo di fatto la legittimità delle norme costituzionali federali, quindi della vita stessa degli Stati Uniti. La stessa cosa per l’aborto: ridare il potere agli Stati. E questo perché ormai gli Stati piccoli del sud e dell’ovest costituiscono la maggioranza in Senato, ma è una maggioranza di Stati, ognuno dei quali ha due membri, che rappresentano sempre più meno popolazione. Perché la popolazione è sempre più concentrata nelle grandi metropoli, a cominciare dalla California e da New York. Tutto il conflitto che il trumpismo imposta sul terreno costituzionale, è quello di togliere tutti i meccanismi di carattere federale per ridare potestà a meccanismi di carattere statale, a cominciare adesso con l’aborto. L’altra faccia della questione è che se la sentenza sarà quella che è scritta in questa bozza, la Corte Suprema, che fino a ieri è stata un organo neutrale – anche la stessa sentenza sull’aborto fu votata a suo tempo non solo dai giudici democratici ma anche da due giudici repubblicani – con l’immissione di tre giudici trumpiani, la Corte Suprema, se farà questa sentenza sull’aborto, si manifesterà come un organo politico che segue le direttive dei partiti. Cosa che non è mai stata in questa misura. Certamente al suo interno c’erano orientamenti più conservatori e altri più liberali, ma c’era sempre un certo distacco dalle “scuderie” di partito. Qui saremmo di fronte a una ferita gravissima inferta alla democrazia liberale. Di fatto si determinerebbe un mutamento sostanziale, stravolgente delle funzioni della Corte Suprema. Da supremo organo a-politico di equilibrio tra il sistema federale e quelli statali, e tra il sistema istituzionale e i diritti dei cittadini, sarà trasformata in un organo politico che agisce su mandato partigiano.
La decisione finale non è ancora stata presa ed è attesa tra giugno e luglio. Joe Biden ha già annunciato la sua contrarietà a questa eventuale decisione dell’Alta Corte: «Il diritto di scelta di una donna è fondamentale – ha detto il presidente americano – la sentenza Roe vs Wade non deve essere ribaltata». Il governo, ha aggiunto, sarà pronto a intervenire non appena la sentenza sarà diffusa. Come leggere politicamente, e anche in chiave elettorale, questa esternazione dell’inquilino della Casa Bianca?
La maggioranza democratica e Biden ritengono che se ci sarà una sentenza della Corte Suprema che annullerà la sentenza del 1973, si possa fare una legge federale che non è stata mai fatta sull’aborto che sopravanzi le leggi statali. Lì si apre un conflitto molto grosso, perché poi la legge federale può essere messa in gioco anch’essa dalla Corte Suprema. Insomma, è un nodo complico. Se sono veri i sondaggi, per cui il 70% degli americani sono contro l’annullamento della sentenza del 1973, questo certamente potrebbe ridare qualche chance ai democratici che alle elezioni di mezzo termine, del novembre prossimo, sono dati per perdenti.
E tutto ciò avviene mentre Biden è impegnato, sul fronte esterno, nel sostenere l’Ucraina dall’invasione russa.
Francamente non vedo quale sia il problema. Il presidente è anche “commander in chief” e in più ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Il giorno in cui la maggioranza delle due Camere dovesse passare ai repubblicani, forse si potrebbe aprire un conflitto, anche se per quanto riguarda la guerra i repubblicani sono molto più schierati dei democratici a sostegno dell’Ucraina, almeno stando ad oggi.
Partendo da quest’ultima considerazione, le chiedo: un Paese che si divide sull’aborto e su altre delicate questioni interne, può ritrovare o ha già ritrovato un’unità sulla guerra?
L’unità negli Stati Uniti non c’è. È un Paese spaccato a metà, praticamente su tutto. Quanto alla guerra in Ucraina, non è un tema divisivo. I temi divisivi sono l’inflazione, l’economia, l’immigrazione, ma non la guerra in Ucraina. Su questo c’è una larga maggioranza, compreso buona parte del fronte repubblicano. E non sarà su questo che si giocheranno le elezioni di mid-term.
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