Il commento
Aborto, quando la politica non trova l’intesa: quel diritto diventato terreno per vessilli identitari
I pro-life nei consultori, via Pnrr, sono una cartina di tornasole. E soltanto la più recente di quello che si può considerare alla stregua di un vizio eterno e strutturale (o, forse, un peccato originale) della politica nazionale. Il destracentro ha introdotto un emendamento al decreto Pnrr (passato in Commissione Bilancio alla Camera) con il quale ha spalancato le porte dei consultori ai «soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Tradotto: alle (agguerrite e più estremiste) associazioni pro-vita. Una decisione – inserita in maniera surrettizia all’interno di un provvedimento di tutt’altra natura – che ha suscitato la sollevazione delle opposizioni, Pd e M5S in primis, che hanno promesso di fare le barricate. E, peraltro, l’emendamento che ha quale primo firmatario il deputato Lorenzo Malagola di FdI arriva proprio a ridosso della scelta dell’Europarlamento di votare a favore dell’ingresso dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’escalation dell’incivility
Insomma, gira e rigira, la nostra vita pubblica si converte quasi sempre, o molto spesso, in politique politicienne – e, se non si volesse nobilitare la cosa, qualcuno potrebbe pure dire, alla romana, che troppo sovente va a finire “in caciara” (strumental-ideologica). Un fenomeno di lunga durata, in cui confluiscono aspetti e questioni differenti, che rimandano pure a una certa “antropologia” (o, per meglio dire, stratificazione storico-culturale) appunto di lungo periodo. Ma che interseca anche una questione collegata alla scomparsa di culture politiche coerenti (ancorché conflittuali), rimpiazzate in maniera ancor più “pronta cassa” dai processi di delegittimazione dell’avversario e di iperpolarizzazione che sfociano, infatti, in una escalation dell’incivility e nell’impossibilità di trovare modelli e terreni di intesa, certo flessibili e “in movimento”, ma autenticamente condivisi. D’altronde, veniamo da decenni nel corso dei quali qualunque accordo e compromesso – sulla scorta del dilagare del populismo e del giustizialismo – è stato stigmatizzato alla stregua di un “inciucio” (con le relative fortune politiche ed editoriali…). Ecco, allora, che proprio il tema delicatissimo dell’interruzione di gravidanza dovrebbe costituire un’occasione per depoliticizzare e deideologizzare il nostro dibattito e discorso pubblico, mettendo in fila laicamente le questioni e i nodi problematici (accompagnati da dati e numeri, che aiutano sempre a supportare il decision-making razionale).
I vessilli identitari
E, invece, l’aborto rappresenta l’ennesima, impropria finestra di opportunità per sventolare vessilli identitari in maniera più o meno strumentale. Al riguardo, si potrebbe utilmente guardare all’approccio che varie democrazie liberali più compiute della nostra hanno nei confronti delle issues della life politics, da ultimo, per esempio, in Gran Bretagna dove il Servizio sanitario nazionale – a seguito dei lavori di un’apposita commissione e al termine di una serie di lunghe e attente ricerche – ha optato per la revisione delle procedure e lo stop alla somministrazione dei farmaci (come la triptorelina) che bloccano la pubertà con riferimento ai casi giovanili di disforia di genere e di correlata transizione sessuale. Una scelta che è stata sollecitata e approvata in maniera bipartisan da tutti gli schieramenti della politica britannica per l’appunto deideologizzando un tema che andava e va affrontato in un’ottica equilibrata, orientata dalla scienza e da criteri obiettivi e non di posizionamento da campagna elettorale.
Il terreno d’accordo bipartisan
O, ancora, si potrebbe pensare a come diversi Paesi europei, con maggioranze ed esecutivi di orientamento differente, incentivano la demografia mediante politiche attive in campo sociale, economico e scolastico – un approccio che, nel nostro caso, dovrebbe trovare attenzione in primo luogo da parte del destracentro al governo, senza però che ciò avvenga. Così, l’aborto va considerato come un diritto e difeso da ogni tentativo (ideologico) di riduzione delle prerogative femminili di autodeterminazione che serpeggia dalle parti di certa destra. E alla legge 194 va data piena realizzazione, nella totalità dei suoi aspetti, evitando altresì la tentazione di usarla à la carte, come succede ad alcuni pezzi della sinistra più radical. I vari partiti italiani farebbero quindi bene a trovare un’intesa per promuovere il ricorso, nel caso di volontà di interruzione di gravidanza (innanzitutto quando si tratta di persone straniere), all’aborto farmacologico, molto meno invasivo e capace di salvaguardare maggiormente la salute individuale. Nella fattispecie, come segnala l’ultima Relazione sullo stato di attuazione della legge 194, risulta in crescita, ma ancora assai lontano dalle cifre di Francia e Regno Unito. E dire che anche da elementi come questo si misura lo stato del diritto delle donne in materia. E nella fattispecie sarebbe un terreno di accordo bipartisan ideale da cui tutte le parti politiche non avrebbero che da guadagnare.
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