Ralf Dahrendorf, il sociologo tedesco naturalizzato inglese, citava, come esempio da non seguire, quello che lui chiamava il “paradosso Martinez”, dal nome di un ex ministro del governo sandinista, il quale sosteneva che ai suoi tempi in Nicaragua c’era più eguaglianza, perché erano tutti poveri.

A me pare che la campagna referendaria delle opposizioni per l’abrogazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata si ispiri al paradosso stigmatizzato da Dahrendorf, in quanto per garantire l’uguaglianza dei diritti (che sarebbe messa in discussione dall’attuazione della legge) i cittadini dovrebbero avere un regime di servizi parametrato agli standard peggiori, purché siano i medesimi per tutti. A pensarci bene, le regioni del Sud, almeno delle intenzioni (siamo in presenza della vaghezza delle norme di delega) non sarebbero penalizzate sul piano delle risorse, ma non si sentono in grado di compiere quel salto di qualità necessario ad assicurare ai propri amministrati i medesimi livelli di assistenza previsti nelle regioni del Nord.

In sostanza permane nei ceti politici meridionali l’idea di un diritto all’assistenza, perché inadeguati a fare da sé e ad avvalersi di più ampie competenze gestionali dei servizi pubblici. Sia chiaro io non assumo acriticamente il principio dell’autonomia differenziata (che non è ancora ben definito in mancanza dei decreti delegati); non condivido l’approccio semplicistico e populista delle opposizioni che solleticano l’opinione pubblica del Sud a sentirsi discriminata dalla “secessione dei ricchi”. Si gioca molto su di un sentimento di invidia sociale collettiva, non tanto nei confronti di un privilegio, ma di un merito. Certo, il Ssn nasce con un peccato originale, la garanzia della spesa storica che favoriva già in partenza le realtà territoriali più efficienti del Centro Nord, ma la definizione dei Lep in una logica comune dovrebbe consentire una redistribuzione più equilibrata delle risorse.

Del resto, in teoria l’autonomia differenziata collegherebbe il conferimento di maggiori risorse come corrispettivo di maggiori responsabilità nel fornire dei servizi alle proprie comunità.  È questa una responsabilità che le Regioni del Sud non vogliono assumersi. Poi anche sulla questione dei Lep bisogna intendersi. Non è sufficiente garantirli in astratto. L’uniformità della tutela dei diritti dipende anche da una qualità sociale e da una capacità organizzativa e amministrativa che non si determinano per legge, ma attraverso la gestione politica e manageriale delle risorse tecnologiche ed umane a disposizione. I presidenti e gli amministratori delle regioni del Centro-Nord non sono dei fenomeni, ma sono in grado di interagire con una società che si sente coinvolta e responsabile del buon andamento dei servizi pubblici. Se non c’è, o è insufficiente questo senso civico, non è possibile realizzare un’eguaglianza sostanziale nei diritti.

Ci fu, in un’epoca trascorsa, il diffuso innamoramento di un “ismo” allora nuovo di zecca che sembrava gonfiare le vele della Lega che ormai dilagava nel Nord del Paese: il federalismo. Anche i partiti e le coalizioni di sinistra si intestarono quell’ismo di nuovo conio. Non si dimentichi mai che la famigerata riforma del Titolo V fu opera di un esecutivo di centro sinistra. Dopo la bocciatura nel referendum confermativo della devolution – una riforma scritta coi piedi, ma almeno chiara nella ripartizione dei compiti tra Stato e Regioni – nelle legislature successive, l’ismo maledetto si presentò sotto la veste del federalismo fiscale. Nella sedicesima legislatura, a questo proposito, fu approvata anche una legge delega con la sola opposizione esplicita dell’Udc; ma, al momento di varare i decreti delegati scoppiò – in una situazione difficile per i conti pubblici – la questione degli oneri e delle coperture, perché le Regioni non erano intenzionate a “fare da sole” senza avere alle spalle l’usbergo dell’intera finanza pubblica, specie per la spesa sanitaria che costituisce la parte preponderante dei bilanci delle Regioni.

Così il federalismo finì nell’anticamera del dimenticatoio, fino a quando questa bandiera sdrucita fu rispolverata – un po’ per celia, un po’ per non morire – dai governatori leghisti del Veneto e della Lombardia, con il sostegno di un referendum popolare e in polemica con la mutazione genetica “nazionalistica” allora imposta da Matteo Salvini. A questa idea si aggiunse anche l’Emilia Romagna, il “granaio” dei voti della sinistra. E fu l’ultimo presidente del consiglio del Pd, Paolo Gentiloni, a sottoscrivere le intese di autonomia differenziata con i governatori delle Regioni interessate, addirittura poche settimane prima delle funeste elezioni del marzo 2018.