L’avevano promesso e sono stati di parola: i grillini stanno dettando l’agenda della Commissione giustizia del Senato dove è incardinata la prima parte della riforma voluta dal Guardasigilli Carlo Nordio e che prevede al primo punto l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Si è perso il conto, infatti, dei magistrati che in queste settimane stati chiamatati ad esprimere il proprio parere sul testo della riforma. Una mossa che ha l’evidente scopo di spostare in avanti il momento in cui si dovrà votare l’articolato e che rischia, a questo punto, di rallentare la tabella di marcia voluta da Nordio.
Il Movimento 5 Stelle, fermamente contrario all’abolizione del reato, aveva subito esordito: “Faremo sfilare tutti i magistrati d’Italia”. E, come detto, ci sono riusciti. Oggi, ad esempio, sono in programma le audizioni di Claudio Castelli, presidente della Corte d’appello di Brescia, Maurizio De Lucia, procuratore di Palermo, e di Armando Spataro, ex procuratore di Torino, in pensione dal 2018.

Nella scorsa legislatura le audizioni era state limitate ad un numero massimo per gruppo. Adesso l’atteggiamento, forse per evitare polemiche, è molto diverso. Il problema è che queste audizioni sono tutte simili. Sarebbe stato opportuno, allora, concordare con i richiedenti una loro selezione in un numero congruo, per non appesantire troppo i lavori a discapito dei tanti altri temi sia di maggioranza che di opposizione da trattare nell’agenda settimanale, oppure trasformarle in contributi scritti e quindi comunque acquisibili dalla Commissione.
Essendo evidente che i pm sono tutti contrari all’abolizione del reato quale è la giustificazione di ascoltare a decine? Con casi singolari. Piercamillo Davigo è stato sentito due volte sullo stesso argomento, essendo l’abolizione dell’abuso d’ufficio prima dell’estate incardinata alla Commissione giustizia della Camera, dove ha ripetuto, con qualche sfumatura gli stessi concetti. «Se ci sono tante denunce – ha detto – vuol dire che i cittadini sono furiosi per come viene esercitata l’azione amministrativa. E ricorrono allo strumento penale perché gli altri strumenti – il ricorso in autotutela, al giudice amministrativo o al giudice civile – si rivelano inefficaci». Senza tale reato, dunque, arriverebbero «denunce per altri reati: i cittadini cercheranno altre fattispecie a cui possa essere ricondotto il loro malessere». Davigo, come un mantra, ha poi ricordato che l’esistenza dell’articolo 323 del codice penale è vincolato alla Convenzione di Merida e modificare ulteriormente la norma sarebbe, appunto, «un illecito di diritto penale internazionale».

Per confutare le tesi togate Enrico Costa, deputato e responsabile giustizia di Azione, aveva presentato un dossier con le storie di 150 sindaci ingiustamente indagati o processati per abuso d’ufficio e poi assolti. «Una grande ingiustizia italiana”, aveva detto Costa, invitando Nordio ad «una maggiore iniziativa», tenendo fede ai proclami fatti prima di diventare ministro, dal momento che tale reato «determina una paralisi nell’amministrazione pubblica». Perché chi governa – spesso sindaci di piccoli paesi – va messo in condizione «di operare in modo libero, non sotto la minaccia di reati indefiniti o indefinibili», altrimenti «non dobbiamo lamentarci se le cose non vengono fatte».
Costa ha proposto la depenalizzazione del reato, prevedendo una sanzione amministrativa che può aggirarsi tra i mille e 15mila euro. E per smentire Davigo, Costa ha ribaltato il concetto alla base degli esposti: non il comune cittadino “schifato” dalla politica, ma un uso strumentale della denuncia per fare opposizione. «Tanti sedicenti garantisti, quando siedono in Consiglio comunale – e si trovano all’opposizione – usano l’esposto in procura anziché l’interrogazione. Così facendo sperano che un pm invii un avviso di garanzia al sindaco, del quale sono pronti a reclamare le dimissioni». Il filo conduttore, dunque, «molto spesso è la colpa della politica», che mette in moto la macchia della magistratura. E passando per le conferenze stampa si arriva spesso alla gogna, che a volte devasta la vita di amministratori innocenti. Costa ha ricordato la Commissione istituita ai tempi in cui era ministro per gli Affari regionali, presieduta proprio da Nordio. Obiettivo: studiare il tema dell’abuso d’ufficio e i suoi effetti. La conclusione dell’allora procuratore aggiunto di Venezia fu chiara: l’articolo 323 è irriformabile, «perché il problema non è la condanna che non arriva mai, è il fango, l’indagine, l’inchiesta, il processo. Anche solo a modificarlo non cambierebbe niente». Da qui l’invito al governo a mettere mano al codice. Magistrati permettendo.