L'appello
Accompagnare chi soffre nel dolore: le cure palliative sono un diritto
«Il diritto di accedere alle cure palliative deriva dalla dignità che appartiene a tutti gli esseri umani, anche i più fragili, quali le persone in fase avanzata di malattia e morenti» e «dovrebbero essere assicurate a tutti». La logica dell’accompagnamento che esse promuovono «intende superare l’immaginario del controllo della morte, che si esprime attraverso il tentativo sia di prolungare la vita a qualunque costo, sia di accelerare la morte». Lo ha ribadito mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ieri, durante i lavori del webinar organizzato dalla stessa Pontificia Accademia dedicato ad analizzare la situazione delle cure palliative in Italia. Il ministro della Salute Roberto Speranza, in collegamento, ha portato il suo saluto. Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando, ha inviato un messaggio. Il webinar di venerdì pomeriggio ha chiuso le due precedenti sessioni, il 9 e 10 pomeriggio, in cui si sono analizzati gli scenari delle cure palliative a livello internazionale, rilevando come sia necessario fare molto di più affinché siano conosciute e praticate, anche come un modo per rispondere alla sfida portata dalle derive eutanasiche.
Di seguito il testo di mons. Paglia.
Da alcuni anni la Pontificia Accademia per la Vita segue con particolare attenzione il tema delle cure palliative, riconoscendo in esse un modello di accompagnamento di grande valore, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista etico, alle persone che sono ormai prossime al passaggio della morte. Nelle due sessioni precedenti, che hanno inteso offrire uno sguardo internazionale, sono emerse numerose interessanti riflessioni. Lo snodo fondamentale da sottolineare è la sempre più chiara consapevolezza che il diritto di accedere alle cure palliative deriva dalla dignità che appartiene a tutti gli esseri umani, anche i più fragili, quali le persone in fase avanzata di malattia e morenti: questa è la ragione per cui dovrebbero essere assicurate a tutti.
Un percorso lungi dall’essere compiuto, che richiede il coinvolgimento di diversi attori, a partire da chi opera nel campo della salute. Occorre far crescere la consapevolezza del ruolo clinico e della rilevanza etica delle cure palliative. Lo sforzo per un’adeguata formazione sta facendo passi avanti in molti Paesi, ma ancora troppo lentamente. Sono perciò particolarmente grato al Ministero dell’università italiano che, di concerto con il Ministero della Salute, ha raggiunto l’importante traguardo di introdurre pienamente le cure palliative nel contesto accademico, assicurando un percorso formativo solido per quanti presteranno assistenza al paziente affetto da una malattia in stadio avanzato o prossimo alla morte.
L’attenzione al significato e alla pratica delle cure palliative è di particolare rilievo nel nostro Paese anche in relazione al dibattito che si sta svolgendo sulla possibile regolamentazione giuridica delle questioni di fine vita. Il fatto che la legge n. 38/2010 (su Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) – di cui oggi si parlerà – sia ampiamente inapplicata costituisce un fattore che non aiuta per nulla a una corretta percezione degli interrogativi che si pongono su questa delicata materia. È del resto anche sintomatica la scarsa conoscenza e attuazione della legge n. 219/2017 (Consenso informato e Disposizione anticipate di trattamento – Dat). Sono fatti che manifestano la resistenza profonda che nella nostra cultura opponiamo a una elaborazione effettiva del limite e di quella sua radicale espressione che è la morte. Il dibattito giuridico non deve farci dimenticare che la posta in gioco si trova sul terreno della cultura. È qui, infatti, che avviene la composizione tra la dimensione giuridica e quella etica.
Due dimensioni che sono distinte ma non separate, connesse ma non coincidenti, e che trovano proprio nella cultura un terreno di mediazione. Ed è su questo terreno che anche le cure palliative possono fornire un apporto determinante. La logica dell’accompagnamento che esse promuovono intende superare l’immaginario del controllo della morte, che si esprime attraverso il tentativo sia di prolungare la vita a qualunque costo, sia di accelerare la morte. Si vede così che l’alternativa non è tanto tra l’ostinazione irragionevole (accanimento terapeutico) e le diverse forme di procurare (o procurarsi) la morte, tra assolutizzazione della sopravvivenza biologica e mitizzazione dell’autodeterminazione, che portano entrambe a esiti problematici. In gioco ci sono due più generali interpretazioni dell’esistenza e dell’esperienza del limite: quella basata sul controllo (verso cui il sistema tecnoscientifico facilmente propende) e quella ispirata appunto all’accompagnamento e alla logica della cura.
È sul terreno della cultura che i credenti possono fornire il loro migliore contributo, riconoscendosi, rispetto alla società civile, non controparte, ma componente, in un atteggiamento di reciproco apprendimento. Il contributo dei cristiani, infatti, riguarda la testimonianza delle forme dell’umano implicate nel vangelo di Gesù, elaborate con categorie e strumenti messi a disposizione dalla cultura in cui, come tutti gli altri, sono immersi. Anche la riflessione teologica non può presentarsi che come ripresa concettualmente articolata e criticamente avvertita di quel sapere che è inscritto nelle forme della vita comune, apportando così il suo contributo originale nella sfera pubblica. Numerosi altri temi di interesse e attualità sono emersi dalle prime due sessioni di questo Congresso, definendo gli ambiti delle cure palliative nel bambino, nel grande anziano, in alcune altre speciali circostanze e proiettando le cure palliative verso le nuove sfide: l’identificazione precoce del bisogno di cure palliative nell’ambito della cronicità complessa e avanzata, per dare una risposta adeguata al dolore, alla sofferenza, alla solitudine della persona e della sua famiglia; il significato della rimodulazione dei trattamenti e degli interventi terapeutico-assistenziali; la sedazione palliativa; il valore della pianificazione anticipata e condivisa delle cure.
L’obiettivo di questa sessione è di mettere a fuoco la capacità del sistema italiano di rispondere ai bisogni del malato e della sua famiglia, individuando percorsi di integrazione delle cure palliative nelle reti territoriali, fino al domicilio del malato, come richiesto dalla già citata legge n. 38/2010. A questo scopo vi è la necessità di organizzare risorse per potenziare le cure palliative negli ospedali, negli hospice, a domicilio, nelle strutture per anziani. Ma dovremo parlare anche di dimissioni protette, continuità assistenziale, competenze dei professionisti, formazione, sistemi digitali, tutte leve fondamentali per gestire il cambiamento verso un nuovo modello di sanità che garantisca cure tempestive e qualificate per la persona malata e la sua famiglia. Ricorre l’11 febbraio la XXX Giornata Mondiale del Malato, istituita da San Giovanni Paolo II nel 1992 per sensibilizzare l’intero mondo della sanità e la società civile all’attenzione verso i malati e verso quanti se ne prendono cura. In questa occasione, Papa Francesco ci ricorda la particolare considerazione di Gesù nei confronti dei malati e proprio oggi riafferma l’importanza delle cure palliative come espressione di una medicina capace di prendersi cura e accompagnare alla morte senza «confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano ad uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio».
Quest’epoca di pandemia ha messo in luce molte criticità dei sistemi sanitari, le cui conseguenze negative sono gravate sui malati e sui loro familiari, soprattutto quelli nei paesi più poveri. Lo sforzo dell’approfondimento dei temi che stiamo trattando in questi giorni consenta di giungere a suggerimenti concreti per un accompagnamento e una vicinanza sempre più qualificati nei confronti di tutti i sofferenti, che rendano visibile il segno vivente dell’amore misericordioso del Padre che è Gesù stesso.
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